In tempi recenti, l’importanza degli intangible asset in generale ed il rilievo da assegnare alla corporate reputation hanno ottenuto un plebiscito generalizzato da parte della comunità scientifica e delle organizzazioni imprenditoriali in quanto riconosciuti di vitale importanza per creare barriere all’ingresso nei mercati, per assicurarsi la fedeltà e la conservazione nel tempo della clientela, e, non ultimo, per conseguire stabili vantaggi competitivi. La reputazione rappresenta, in verità, uno degli indicatori di successo del modello di governance adottato da un’impresa perché nasce da, ed evolve attraverso, la qualità delle relazioni dell’impresa con i suoi portatori di interesse. La reputazione di cui gode un’organizzazione consiste, dunque, in un giudizio diffuso e sedimentato nel tempo che i diversi interlocutori danno della credibilità delle affermazioni di un’impresa, della qualità e affidabilità dei suoi prodotti e della responsabilità delle sue azioni. In altre parole, la reputazione di un’impresa riguarda la sua capacità di mantenere nel tempo le sue promesse. In un mercato altamente competitivo quale quello odierno, il pericolo derivante dalla perdita di reputazione assume un’importanza fondamentale e strategica, dal momento che quest’ultima emerge come elemento essenziale nel definire le scelte di condotta e le strategie aziendali. Il presente lavoro di tesi muove dall’intento di analizzare il ruolo e l’importanza della reputazione aziendale all’interno di una peculiare tipologia di impresa, rappresentata dalle società in controllo pubblico, «soggetti dalla natura anfibia e dal profilo bifronte che, seppure in forma privatistica, costituiscono strumenti di azione della pubblica amministrazione che ne è socia», ed oggetto di vivo interesse specie in seguito alla entrata in vigore, in data 23 settembre 2016, del Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”. In proposito è opportuno precisare in premessa che la locuzione “società private in controllo pubblico” adottata come titolo del presente lavoro di tesi è volutamente impropria in quanto la locuzione corretta è quella di “società in controllo pubblico”, ma è stata impiegata per evocare un ossimoro (il profilo bifronte appena richiamato) alla luce dell’ampia formula adottata dal legislatore e dall’ANAC nelle Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza che include nel novero dei destinatari della disciplina in commento tutte le società e gli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti pubblici economici. L’attenzione si è incentrata, in particolare, sull’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.a. che, com’è noto, svolge, in via esclusiva, attività di rilievo che coinvolgono interessi primari dello Stato, dalla sicurezza alla tutela della salute, dall’anticontraffazione alla predisposizione di metodologie e strumenti per essenziali attività di vigilanza e controllo. Mission dell’Istituto è quella di garantire la tutela degli interessi primari dello Stato-Comunità attraverso prodotti e servizi ad elevato valore intrinseco e di rappresentare un efficace strumento operativo a supporto della Pubblica Amministrazione per l'ammodernamento e la digitalizzazione dei processi interni e dei servizi erogati. Venendo, dunque, in rilievo attività di interesse pubblico, non possono certo essere trascurati i possibili danni all’immagine e alla reputazione aziendale derivanti da fenomeni di corruzione o da altre condotte penalmente rilevanti da parte dei soggetti operanti per conto o nell’interesse dell’organizzazione o a danno della stessa. Al riguardo, sotto il profilo della normativa in vigore, vengono in considerazione sia le misure per limitare il verificarsi di fenomeni corruttivi di cui alla legge 190/2012 (e, in quest’ottica, il Piano di prevenzione della corruzione rappresenta il documento fondamentale per la definizione della strategia di prevenzione della corruzione all’interno di IPZS), sia il Modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal D.Lgs.231/2001 adottato ed aggiornato dall’Istituto quale atto di responsabilità sociale nei confronti dei propri stakeholder. Se è vero, dunque, che la reputazione è una delle condizioni essenziali per preservare la vita stessa dell’azienda, è vero anche che le imprese devono impegnarsi al fine di tutelare e difendere la propria reputazione da tutti quegli eventi sfavorevoli che potrebbero intaccarla. Ciò fa porre l’accento sull’ottica, più recente, che conduce il concetto di reputazione ad una contestualizzazione più vicina alla gestione dei rischi, evidenziando una particolare e specifica categoria di rischio, che prende il nome di rischio reputazionale. Quest’ultimo può essere inteso come il rischio per un’impresa di subire conseguenze economiche sfavorevoli e dannose, dovute ad un peggioramento dei rapporti con i propri stakeholder, a seguito di eventi che incidono negativamente sulla fiducia e credibilità dell’impresa presso i pubblici di riferimento, suoi diretti o indiretti interlocutori. Tra gli eventi in questione vanno considerati le condotte errate da parte dell’organizzazione sia verso i pubblici interni che verso l’esterno, quali episodi di mismanagement, frodi o casi di mancata compliance normativa, ecc., tutti in buona sostanza coincidenti con le fattispecie contemplate, sia pure con gli opportuni elementi di differenziazione, nella normativa anticorruzione ed in quella del Dlgs. 231/2001. La consapevolezza da parte del management circa il rilievo assunto dal capitale reputazionale dovrebbe trovare conferma attraverso il riconoscimento della sua criticità, in termini di difesa del patrimonio reputazionale da eventi critici, attraverso la creazione di vere e proprie riserve reputazionali, e della centralità della sua misurazione, specie in un’epoca, come quella odierna, contraddistinta dall’emersione di un paradigma economico alternativo, noto come “economia della reputazione”, a testimonianza dell’attenzione riservata a nuove modalità relazionali, fondate essenzialmente sul credito (invece che sull’immagine) attribuito reciprocamente ai protagonisti dell’interazione, in grado di generare valore. [a cura dell'Autore]

L’impatto reputazionale nelle società private in controllo pubblico: il caso dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato / Rossella Santaniello , 2017 May 23., Anno Accademico 2014 - 2015. [10.14273/unisa-961].

L’impatto reputazionale nelle società private in controllo pubblico: il caso dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato

Santaniello, Rossella
2017

Abstract

In tempi recenti, l’importanza degli intangible asset in generale ed il rilievo da assegnare alla corporate reputation hanno ottenuto un plebiscito generalizzato da parte della comunità scientifica e delle organizzazioni imprenditoriali in quanto riconosciuti di vitale importanza per creare barriere all’ingresso nei mercati, per assicurarsi la fedeltà e la conservazione nel tempo della clientela, e, non ultimo, per conseguire stabili vantaggi competitivi. La reputazione rappresenta, in verità, uno degli indicatori di successo del modello di governance adottato da un’impresa perché nasce da, ed evolve attraverso, la qualità delle relazioni dell’impresa con i suoi portatori di interesse. La reputazione di cui gode un’organizzazione consiste, dunque, in un giudizio diffuso e sedimentato nel tempo che i diversi interlocutori danno della credibilità delle affermazioni di un’impresa, della qualità e affidabilità dei suoi prodotti e della responsabilità delle sue azioni. In altre parole, la reputazione di un’impresa riguarda la sua capacità di mantenere nel tempo le sue promesse. In un mercato altamente competitivo quale quello odierno, il pericolo derivante dalla perdita di reputazione assume un’importanza fondamentale e strategica, dal momento che quest’ultima emerge come elemento essenziale nel definire le scelte di condotta e le strategie aziendali. Il presente lavoro di tesi muove dall’intento di analizzare il ruolo e l’importanza della reputazione aziendale all’interno di una peculiare tipologia di impresa, rappresentata dalle società in controllo pubblico, «soggetti dalla natura anfibia e dal profilo bifronte che, seppure in forma privatistica, costituiscono strumenti di azione della pubblica amministrazione che ne è socia», ed oggetto di vivo interesse specie in seguito alla entrata in vigore, in data 23 settembre 2016, del Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”. In proposito è opportuno precisare in premessa che la locuzione “società private in controllo pubblico” adottata come titolo del presente lavoro di tesi è volutamente impropria in quanto la locuzione corretta è quella di “società in controllo pubblico”, ma è stata impiegata per evocare un ossimoro (il profilo bifronte appena richiamato) alla luce dell’ampia formula adottata dal legislatore e dall’ANAC nelle Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza che include nel novero dei destinatari della disciplina in commento tutte le società e gli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti pubblici economici. L’attenzione si è incentrata, in particolare, sull’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.a. che, com’è noto, svolge, in via esclusiva, attività di rilievo che coinvolgono interessi primari dello Stato, dalla sicurezza alla tutela della salute, dall’anticontraffazione alla predisposizione di metodologie e strumenti per essenziali attività di vigilanza e controllo. Mission dell’Istituto è quella di garantire la tutela degli interessi primari dello Stato-Comunità attraverso prodotti e servizi ad elevato valore intrinseco e di rappresentare un efficace strumento operativo a supporto della Pubblica Amministrazione per l'ammodernamento e la digitalizzazione dei processi interni e dei servizi erogati. Venendo, dunque, in rilievo attività di interesse pubblico, non possono certo essere trascurati i possibili danni all’immagine e alla reputazione aziendale derivanti da fenomeni di corruzione o da altre condotte penalmente rilevanti da parte dei soggetti operanti per conto o nell’interesse dell’organizzazione o a danno della stessa. Al riguardo, sotto il profilo della normativa in vigore, vengono in considerazione sia le misure per limitare il verificarsi di fenomeni corruttivi di cui alla legge 190/2012 (e, in quest’ottica, il Piano di prevenzione della corruzione rappresenta il documento fondamentale per la definizione della strategia di prevenzione della corruzione all’interno di IPZS), sia il Modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal D.Lgs.231/2001 adottato ed aggiornato dall’Istituto quale atto di responsabilità sociale nei confronti dei propri stakeholder. Se è vero, dunque, che la reputazione è una delle condizioni essenziali per preservare la vita stessa dell’azienda, è vero anche che le imprese devono impegnarsi al fine di tutelare e difendere la propria reputazione da tutti quegli eventi sfavorevoli che potrebbero intaccarla. Ciò fa porre l’accento sull’ottica, più recente, che conduce il concetto di reputazione ad una contestualizzazione più vicina alla gestione dei rischi, evidenziando una particolare e specifica categoria di rischio, che prende il nome di rischio reputazionale. Quest’ultimo può essere inteso come il rischio per un’impresa di subire conseguenze economiche sfavorevoli e dannose, dovute ad un peggioramento dei rapporti con i propri stakeholder, a seguito di eventi che incidono negativamente sulla fiducia e credibilità dell’impresa presso i pubblici di riferimento, suoi diretti o indiretti interlocutori. Tra gli eventi in questione vanno considerati le condotte errate da parte dell’organizzazione sia verso i pubblici interni che verso l’esterno, quali episodi di mismanagement, frodi o casi di mancata compliance normativa, ecc., tutti in buona sostanza coincidenti con le fattispecie contemplate, sia pure con gli opportuni elementi di differenziazione, nella normativa anticorruzione ed in quella del Dlgs. 231/2001. La consapevolezza da parte del management circa il rilievo assunto dal capitale reputazionale dovrebbe trovare conferma attraverso il riconoscimento della sua criticità, in termini di difesa del patrimonio reputazionale da eventi critici, attraverso la creazione di vere e proprie riserve reputazionali, e della centralità della sua misurazione, specie in un’epoca, come quella odierna, contraddistinta dall’emersione di un paradigma economico alternativo, noto come “economia della reputazione”, a testimonianza dell’attenzione riservata a nuove modalità relazionali, fondate essenzialmente sul credito (invece che sull’immagine) attribuito reciprocamente ai protagonisti dell’interazione, in grado di generare valore. [a cura dell'Autore]
23-mag-2017
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