17 marzo 1861: nasceva il Regno d’Italia. Dopo aver conseguito parzialmente l’unificazione territoriale, la classe dirigente del neonato Stato diede impulso ad un processo ampio e complesso, che si sarebbe protratto per lungo tempo: la costruzione dello Stato-nazione; un singolare corso politico che auspicava a porre le basi di un nuovo pactum avente come collante anche il consenso della società italiana. Dopo la disgregazione del Regno delle Due Sicilie, il governo di Torino adottò una serie di misure volte alla rimozione di ogni possibile ostacolo all’affermazione della sovranità statale, al fine di consolidare il nuovo assetto politico-sociale. La riflessione sullo status culturale ed economico del Mezzogiorno divenne necessariamente il fulcro del dibattito parlamentare dei primi anni dopo l’Unità. Il Regno italiano, con i plebisciti dell’ottobre 1860, aveva sì ereditato lo spazio borbonico, ma altresì le problematiche ad esso annesse. Infatti, il territorio meridionale inglobava conflitti detonati già durante l’amministrazione ‘napolicentrica’, così come nel Decennio francese, durante la Restaurazione e i moti del ’20 e del ’48. Legittimazione, sovranità e nazione costituirono i termini primari della mappatura genetica del nuovo Regno: la volontà di garantire l’ordine pubblico fu, quindi, speculare al raggiungimento del consenso sociale. L’approccio storiografico recente ha contribuito a ridefinire attori e dinamiche emersi all’indomani del 1861. La riflessione sul crollo del Regno di Francesco II è stata condotta piuttosto ponendo l’accento sul paradigma del conflitto, dimostrando l’esistenza di fratture, patriottismi opposti e di progetti nazionali alternativi. Lo studio del caso meridionale, focalizzato sul problema della guerra, amplia, difatti, la prospettiva di lettura dell’affermazione della sovranità del nuovo Stato. Dal 1861 sino alla metà degli anni Settanta, esso affrontò il brigantaggio come parte del conflitto civile, una forma di banditismo di carattere reazionario e delinquenziale. Il progetto di ricerca, di conseguenza, mira a comprendere la natura e l’efficacia della repressione unitaria mediante la giurisdizione ordinaria e straordinaria nei confronti delle scorribande dei briganti meridionali. Lo studio delle dinamiche del conflitto evidenzia le caratteristiche dello scontro che vide non solo legittimisti e filounitari combattere in nome del proprio credo politico, ma anche un alto grado di privatizzazione della violenza. Nella prima parte della ricerca sarà enucleata la base storica e storiografica che garantisce una puntuale definizione del brigantaggio attraverso il paradigma del conflitto, illustrando la prospettiva dei vinti nello scontro tra lealisti e fronte panitaliano. Nella seconda parte, tenendo conto della natura composita del fenomeno, si ricostruiranno le vicende processuali di tre differenti fasi temporali: 1860-1863, 1863- 1865, 1866-1876. Nel primo quadriennio esaminato, la guerriglia si diffuse con una differente veste politica: da un lato, come sintomo della cospirazione reazionaria che auspicava la restaurazione di Francesco II (si pensi alle vicende Barberini Sciarra e Bishop); dall’altro, come chiaro segno di una protesta antiunitaria scaturita dai plebisciti dell’ottobre ’60 (Carbonara, Auletta). Tra il 1863 e il 1865, il brigantaggio fu oggetto dei dibattiti parlamentari che portarono all’approvazione della legge Pica nell’agosto ’63: in tal modo la giurisdizione militare fu competente a comminare la pena capitale per il reato di brigantaggio (basti leggere i casi al vaglio dei tribunali militari di guerra riguardanti Conca, Luciano, Tocci, Schiavone e Marinelli). Allo stesso tempo, emersero le implicazioni politiche e diplomatiche del fenomeno la cui eco raggiunse gli altri Stati europei: si riporta, infatti, la questione italo-francese dell’Aunis che vide protagonisti i fratelli Della Gala. Nell’ultimo stadio, nonostante la fine dell’emergenza, si celebrarono i procedimenti penali a carico degli ultimi briganti del Mezzogiorno i quali, a capo di folte bande, avevano messo a repentaglio per anni l’ordine pubblico e l’incolumità della popolazione meridionale (ad esempio, il «Generale dei briganti» Carmine Crocco, Giuseppe Tardio e Gaetano Manzo). In conclusione, la scelta delle fonti presso gli Archivi di Stato di Avellino, Napoli, Potenza, Roma e Salerno, ha permesso di ricostruire le dinamiche biografiche e processuali di alcuni tra i briganti più influenti nel Meridione; ciò al fine di comprendere la natura repressiva e l’efficacia dell’azione dello Stato unitario nella guerra al brigantaggio meridionale tra il 1860 e il 1876. [a cura dell'Autore]

Processo ai briganti. Pratiche giudiziarie e legittimazione politica nel Mezzogiorno risorgimentale (1861 - 1876) / Maria Ingenito , 2017 Sep 29., Anno Accademico 2015 - 2016. [10.14273/unisa-1365].

Processo ai briganti. Pratiche giudiziarie e legittimazione politica nel Mezzogiorno risorgimentale (1861 - 1876)

Ingenito, Maria
2017

Abstract

17 marzo 1861: nasceva il Regno d’Italia. Dopo aver conseguito parzialmente l’unificazione territoriale, la classe dirigente del neonato Stato diede impulso ad un processo ampio e complesso, che si sarebbe protratto per lungo tempo: la costruzione dello Stato-nazione; un singolare corso politico che auspicava a porre le basi di un nuovo pactum avente come collante anche il consenso della società italiana. Dopo la disgregazione del Regno delle Due Sicilie, il governo di Torino adottò una serie di misure volte alla rimozione di ogni possibile ostacolo all’affermazione della sovranità statale, al fine di consolidare il nuovo assetto politico-sociale. La riflessione sullo status culturale ed economico del Mezzogiorno divenne necessariamente il fulcro del dibattito parlamentare dei primi anni dopo l’Unità. Il Regno italiano, con i plebisciti dell’ottobre 1860, aveva sì ereditato lo spazio borbonico, ma altresì le problematiche ad esso annesse. Infatti, il territorio meridionale inglobava conflitti detonati già durante l’amministrazione ‘napolicentrica’, così come nel Decennio francese, durante la Restaurazione e i moti del ’20 e del ’48. Legittimazione, sovranità e nazione costituirono i termini primari della mappatura genetica del nuovo Regno: la volontà di garantire l’ordine pubblico fu, quindi, speculare al raggiungimento del consenso sociale. L’approccio storiografico recente ha contribuito a ridefinire attori e dinamiche emersi all’indomani del 1861. La riflessione sul crollo del Regno di Francesco II è stata condotta piuttosto ponendo l’accento sul paradigma del conflitto, dimostrando l’esistenza di fratture, patriottismi opposti e di progetti nazionali alternativi. Lo studio del caso meridionale, focalizzato sul problema della guerra, amplia, difatti, la prospettiva di lettura dell’affermazione della sovranità del nuovo Stato. Dal 1861 sino alla metà degli anni Settanta, esso affrontò il brigantaggio come parte del conflitto civile, una forma di banditismo di carattere reazionario e delinquenziale. Il progetto di ricerca, di conseguenza, mira a comprendere la natura e l’efficacia della repressione unitaria mediante la giurisdizione ordinaria e straordinaria nei confronti delle scorribande dei briganti meridionali. Lo studio delle dinamiche del conflitto evidenzia le caratteristiche dello scontro che vide non solo legittimisti e filounitari combattere in nome del proprio credo politico, ma anche un alto grado di privatizzazione della violenza. Nella prima parte della ricerca sarà enucleata la base storica e storiografica che garantisce una puntuale definizione del brigantaggio attraverso il paradigma del conflitto, illustrando la prospettiva dei vinti nello scontro tra lealisti e fronte panitaliano. Nella seconda parte, tenendo conto della natura composita del fenomeno, si ricostruiranno le vicende processuali di tre differenti fasi temporali: 1860-1863, 1863- 1865, 1866-1876. Nel primo quadriennio esaminato, la guerriglia si diffuse con una differente veste politica: da un lato, come sintomo della cospirazione reazionaria che auspicava la restaurazione di Francesco II (si pensi alle vicende Barberini Sciarra e Bishop); dall’altro, come chiaro segno di una protesta antiunitaria scaturita dai plebisciti dell’ottobre ’60 (Carbonara, Auletta). Tra il 1863 e il 1865, il brigantaggio fu oggetto dei dibattiti parlamentari che portarono all’approvazione della legge Pica nell’agosto ’63: in tal modo la giurisdizione militare fu competente a comminare la pena capitale per il reato di brigantaggio (basti leggere i casi al vaglio dei tribunali militari di guerra riguardanti Conca, Luciano, Tocci, Schiavone e Marinelli). Allo stesso tempo, emersero le implicazioni politiche e diplomatiche del fenomeno la cui eco raggiunse gli altri Stati europei: si riporta, infatti, la questione italo-francese dell’Aunis che vide protagonisti i fratelli Della Gala. Nell’ultimo stadio, nonostante la fine dell’emergenza, si celebrarono i procedimenti penali a carico degli ultimi briganti del Mezzogiorno i quali, a capo di folte bande, avevano messo a repentaglio per anni l’ordine pubblico e l’incolumità della popolazione meridionale (ad esempio, il «Generale dei briganti» Carmine Crocco, Giuseppe Tardio e Gaetano Manzo). In conclusione, la scelta delle fonti presso gli Archivi di Stato di Avellino, Napoli, Potenza, Roma e Salerno, ha permesso di ricostruire le dinamiche biografiche e processuali di alcuni tra i briganti più influenti nel Meridione; ciò al fine di comprendere la natura repressiva e l’efficacia dell’azione dello Stato unitario nella guerra al brigantaggio meridionale tra il 1860 e il 1876. [a cura dell'Autore]
29-set-2017
Studi letterari, linguistici e storici
Unificazione
Conflitto
Legittimazione
Perrone Capano, Lucia
Pinto, Carmine
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4924350
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