Il recente orientamento della Corte di Cassazione ita¬liana in materia di anatocismo I ha riportato all'attenzione dell'opinione pubblica un problema antico e sicuramente complesso, non tanto sotto il profilo economico-finanziario né sotto quello giuridico, quanto per le im¬plicazioni di ordine sociale, culturale e morale che ne scaturiscono e che, sostanzialmente, hanno, da sempre, ammantato la tematica in questione di un velo di retorica. Come è noto, l'anatocismo è quella pratica creditizia in base alla qua¬le gli interessi scaduti, se non pagati, producono a loro volta ulteriori inte¬ressi; per lo più, ma non necessariamente, esso oggi coincide con la cd. 'capitalizzazione' degli interessi, che si ha quando questi ultimi, una volta maturati, vengono ad essere integrati nel capitale da restituire e sul coa¬cervo cosi ottenuto si fanno decorrere nuovi ed ulteriori interessi". Dal punto di vista strettamente creditizio tale fenomeno soddisfa, da un lato, le esigenze del creditore che, non ricevendo alla scadenza prefis¬sata la pattuita remunerazione per il capitale dato in prestito, viene così ad essere ristorato per il tempo ulteriore che il debitore impiegherà per adempiere la sua obbligazione; dall'altro, il debitore stesso ne trae un van¬taggio, riuscendo a procrastinare il pagamento del suo debito senza dover ricorrere ad ulteriori prestiti da parte di terzi, presumibilmente disposti a concederli a condizioni più onerose. Del resto, il ricorso alla capitalizzazione degli interessi è connaturale ad alcuni particolari rapporti giuridici, quali quello di conto corrente, nel quale le parti, in virtù dei frequenti rapporti di debito! credito che inter¬corrono tra di esse, non procedono di volta in volta ai reciproci pagamenti preferendo, invece, inserire in un apposito conto le relative poste debitorie e creditorie e, a scadenze prefissate, determinare il relativo saldo il quale può, a sua volta, essere versato all'avente diritto ovvero costituire la prima rimessa nel conto in relazione a un nuovo periodo. Se, dunque, il meccanismo in sé appare limpido, è il suo funziona¬mento in concreto che ha dato luogo a profonde distorsioni ed ai relativi tentativi di contrastare ed arginare un fenomeno rivelato si pernicioso per molti debitori, i quali si sono trovati esposti ad un indebitamento comples¬sivo di gran lunga superiore a quello che era possibile prefigurarsi al mo¬mento in cui avevano preso del denaro in prestito. Tuttavia, nonostante la generale riprovazione per gli effetti dell'anato¬cismo, gli ordinamenti giuridici contemporanei", preso atto della necessità e, forse, dell'ineludibilità di tale pratica, strettamente connessa ai mecca¬nismi di funzionamento del credito, hanno adottato, quasi sempre, un at¬teggiamento improntato a realismo: senza giungere a vietare l'anatoci¬smo, ne hanno disciplinato i presupposti e le modalità, così da temperar¬ne, in qualche modo, gli effetti maggiormente negativi. L'art. 1283 del codice civile italiano si ispira, per l'appunto, a tale otti¬ca: esso stabilisce, infatti, che gli interessi scaduti possono produrre a loro volta interessi solo in virtù di una convenzione successiva alla scadenza degli stessi ovvero per effetto di una domanda giudiziale, e sempre che si tratti di interessi dovuti per un periodo di almeno sei mesi. Così facendo, il legislatore italiano ha inteso dettare una disciplina tendenzialmente ido¬nea, da un lato, a garantire che alla pattuizione di interessi anatocistici si addivenga solo successivamente alla scadenza degli interessi, dunque quando il debitore è, relativamente, in grado di valutare la propria conve¬nienza; dall'altro, ad evitare che l'adozione di una base temporale di capi¬talizzazione inferiore al semestre, sia in caso di anatocismo convenzionale che giudiziale, determini un incremento dell'esposizione debitoria in mi¬sura eccessiva", In ambito bancario tale disciplina, com'è noto, è stata sempre disap¬plicata, essendo stato costantemente ritenuto, fino appunto al recente 're¬virement' della Corte di Cassazione, che per i rapporti bancari di credito vigessero delle vere e proprie consuetudini, prevalenti sulla normativa codicistica in virtù dello stesso dettato dell'art. 1283 che fa salvi gli usi con¬trari: in particolare, le banche non soltanto hanno sempre applicato l'ana¬tocismo, ma hanno, altresì, praticato una vera e propria disparità di trat¬tamento, capitalizzando su base trimestrale gli interessi a loro favore, su base annuale quelli a favore della clientela'. L'intervento dei giudici, senz'altro degno di approvazione, si è pur¬troppo limitato (e forse non poteva essere diversamente) ad accertare l'esi¬stenza, in ambito bancario, non di veri e propri usi normativi ma soltanto di meri usi negoziali, come tali, quindi, inidonei a derogare a norme pri¬marie". Il legislatore, tuttavia, non ha mancato di ripristinare prontamen¬te la liceità? degli interessi sugli interessi per il settore bancario e finanzia¬rio, dettando una vera e propria disciplina speciale mediante la modifica dell'art. 120 del testo unico bancario (d.lgs. 1.9.1993, n. 385), cui ha fatto seguito l'emanazione, da parte del Comitato Interministeriale per il Cre¬dito ed il Risparmio (C.I.C.R.), della delibera 9 febbraio 2000~ Attual¬mente, dunque, la possibilità di capitalizzare gli interessi è deve essere specificamente approvata per iscritto, a pena di inefficacia, dalla parte interessata. Tale pattuizione, normalmente, viene adottata al¬l'atto stesso dell'instaurazione del rapporto con la banca e, dunque, ante¬riormente alla scadenza degli interessi primari; i soli temperamenti dispo¬sti dal legislatore sono rappresentati, da un lato, dalla necessità di osserva¬re, nell'ambito dei rapporti di conto corrente, una eguale periodicità per la capitalizzazione degli interessi sia dal lato attivo che da quello passivo, e dall'altro, con riferimento più in generale alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, dall'obbligo di adottare misure di tra- .. sparenza idonee a garantire un'adeguata informazione alla clientela circa l'effettivo valore del tasso di interesse applicato". Ovviamente, come era prevedibile, le pattuizioni anatocistiche, in quanto clausole non effettivamente negoziate né negoziabili, perché già predisposte dalle banche nei loro schemi contrattuali, redatti in conformi¬tà a direttive dell'associazione di categoria (AB.I.), vengono tuttora neces¬sariamente sottoscritte dalla parte che ha bisogno del credito bancario, non avendo essa altra concreta alternativa per accedere ad un sistema di finanziamento fortemente connotato dalla regola del 'prendere o lasciare'. Da un punto di vista strettamente giuridico, dunque, il problema dell’anatocismo, oggi come in passato, sembra, in concreto, continuare ad es¬sere circoscritto alla necessità di prevederne un'idonea regolamentazione. Né sembra che le cose stessero sostanzialmente in modo diverso nel¬l'ordinamento giuridico romano: sulla base delle pur non molte fonti a nostra disposizione, risulta evidente, infatti, che il fenomeno dell'anatoci¬smo vi ebbe grande rilevanza, anche in correlazione alla sua estrema dif¬fusione nella pratica degli affari e dei commerci principalmente, ma altresì con riferimento a fattispecie, pure frequenti e significative, in ordine alle quali era prevista l'applicazione di usurae cd. Legali. Nulla perciò autoriz¬za a ritenere, come invece si propende per lo più a fare, che l'anatocismo fosse radicalmente vietato: in realtà, fino all'epoca di Giustiniano, esso ap¬pare, in linea di tendenza, semplicemente regolato, coerentemente a quanto avviene, più in generale, per le usurae. Invero, il problema dell’anatocismo non appare correttamente comprensibile, nell'ordinamento romano come in quelli moderni, se non alla luce della più generale disci¬plina degli interessi: come è stato giustamente osservato Il, un problema di limiti all'anatocismo si pone solo in relazione ad ipotesi in cui i tassi di in¬teresse siano non liberi ma fissati nel massimo: diversamente, il computo di interessi sugli interessi consentirebbe, in concreto, di eludere le soglie stabilite. La storia giuridica dell'anatocismo nell'universo romano appare, dun¬que, il frutto di un intento normativa costante di regolamentazione cui si contrapponevano, nella prassi, continui tentativi di aggirare i vari limiti e divieti: il ricorso alla stipulatio, promessa astratta con la quale ci si obbliga¬va a pagare una determinata somma al creditore, senza specificare quanta parte di essa fosse da imputare al capitale e quanta agli interessi, rappre¬sentò sicuramente uno dei principali strumenti utilizzati per eludere le di¬sposizioni vigenti; del resto, la stessa procedura di capitalizzazione (in sen¬so stretto) degli interessi, molto probabilmente, come si vedrà, sorse e si affermò proprio come un escamotage per poter concretamente aggirare il limite legale delle usurae. Obiettivo del presente lavoro è, per l'appunto, cercare di comprende¬re l'effettiva disciplina che ebbe l'anatocismo nell'esperienza giuridica ro¬mana, sulla scorta dell'osservazione che tale pratica, prima del VI sec. d. C., lungi dall'essere radicalmente vietata, o comunque generalmente perseguita, trovava ampio riconoscimento, seppure entro i limiti in cui fossero rispettate delle specifiche disposizioni normative, di tempo in tem¬po emanate. Sulla base dell'analisi sin qui svolta si può senza dub¬bio ritenere che soltanto con Giustiniano viene radicalmente proibito l'a¬natocismo, inteso come vera e propria capitalizzazione degli interessi. Per l'epoca precedente, disposizioni normative la cui esistenza è men¬zionata da Giustiniano stesso, ma che oggi non siamo assolutamente in grado di identificare né di conoscere nel loro esatto contenuto, avevano disposto varie limitazioni ma esclusivamente con riguardo agli interessi sugli interessi, cioè agli interessi composti in senso stretto, e coerentemen¬te con un più ampio quadro normativo che, non senza contraddizioni e lacune, appariva tendenzialmente diretto a perseguire un generale conte¬nimento dei tassi di interesse!". Peraltro, i continui tentativi di arginare un fenomeno certamente assai diffuso e, in particolare, il ricorso, nella prassi, alla capitalizzazione degli interessi quale espediente per eludere la disciplina restrittiva posta per le usurae usurarum, sembrano deporre inequivocabilmente per una sua ritenu¬ta utilità o addirittura necessità: in altri termini, se nonostante tutto, l'ana¬tocismo continuava ad essere praticato, ciò dovette avvenire perché esso evidentemente, in qualche modo, facilitava l'attività negoziale e rendeva effettivamente concreta, o comunque aumentava, la possibilità di ottenere il credito!", Di tali aspetti non sembra all'oscuro nemmeno Giustiniano, laddove, come si è visto, vieta l'anatocismo ma al contempo insegue, attraverso va¬ri interventi, un difficile e mutevole equilibrio tra le aspirazioni ideali ed i bisogni reali. Nell'esperienza giuridica romana, allora, la disciplina dell'anatocismo, inteso in senso lato, sia come applicazione di interessi sugli interessi già scaduti ovvero ancora da maturare, sia come capitalizzazione degli inte¬ressi medesimi, si caratterizza per un estremo realismo: lungi dal manifestare una preconcetta avversione al fenomeno in sé, l'ordinamento inter¬viene esclusivamente per frenare gli abusi e contenere tale pratica, estre¬mamente diffusa nella realtà, entro limiti ritenuti accettabili. Con tutte le cautele imposte dall'esigenza di non incorrere in inappro¬priate quanto pericolose e distorsive attualizzazioni dei fenomeni storico¬giuridici, sembra potersi affermare che, in buona sostanza, non si ravvisa una effettiva differenza, quanto alla ratio ispiratrice, tra la disciplina che l'anatocismo ebbe nell'esperienza giuridica romana e quella che esso riceve attualmente nell'ordinamento giuridico italiano: in entrambi i casi, in¬fatti, con evidente senso di realismo, l'intento precipuamente perseguito è soltanto quello di evitare le possibili degenerazioni di un fenomeno che, nonostante tutto e prescindendo da ogni altra considerazione di tipo moraleggiante o sociologico, (continua a) corrisponde(re) a regole economico¬finanziarie costantemente seguite ed applicate nella pratica creditizia e che, come tale, può essere regolamentato ma non, sic et simpliciter, cancel¬lato per effetto della sola voluntas legis.

L'anatocismo nell'esperienza giuridica romana

FASOLINO, Francesco
2006-01-01

Abstract

Il recente orientamento della Corte di Cassazione ita¬liana in materia di anatocismo I ha riportato all'attenzione dell'opinione pubblica un problema antico e sicuramente complesso, non tanto sotto il profilo economico-finanziario né sotto quello giuridico, quanto per le im¬plicazioni di ordine sociale, culturale e morale che ne scaturiscono e che, sostanzialmente, hanno, da sempre, ammantato la tematica in questione di un velo di retorica. Come è noto, l'anatocismo è quella pratica creditizia in base alla qua¬le gli interessi scaduti, se non pagati, producono a loro volta ulteriori inte¬ressi; per lo più, ma non necessariamente, esso oggi coincide con la cd. 'capitalizzazione' degli interessi, che si ha quando questi ultimi, una volta maturati, vengono ad essere integrati nel capitale da restituire e sul coa¬cervo cosi ottenuto si fanno decorrere nuovi ed ulteriori interessi". Dal punto di vista strettamente creditizio tale fenomeno soddisfa, da un lato, le esigenze del creditore che, non ricevendo alla scadenza prefis¬sata la pattuita remunerazione per il capitale dato in prestito, viene così ad essere ristorato per il tempo ulteriore che il debitore impiegherà per adempiere la sua obbligazione; dall'altro, il debitore stesso ne trae un van¬taggio, riuscendo a procrastinare il pagamento del suo debito senza dover ricorrere ad ulteriori prestiti da parte di terzi, presumibilmente disposti a concederli a condizioni più onerose. Del resto, il ricorso alla capitalizzazione degli interessi è connaturale ad alcuni particolari rapporti giuridici, quali quello di conto corrente, nel quale le parti, in virtù dei frequenti rapporti di debito! credito che inter¬corrono tra di esse, non procedono di volta in volta ai reciproci pagamenti preferendo, invece, inserire in un apposito conto le relative poste debitorie e creditorie e, a scadenze prefissate, determinare il relativo saldo il quale può, a sua volta, essere versato all'avente diritto ovvero costituire la prima rimessa nel conto in relazione a un nuovo periodo. Se, dunque, il meccanismo in sé appare limpido, è il suo funziona¬mento in concreto che ha dato luogo a profonde distorsioni ed ai relativi tentativi di contrastare ed arginare un fenomeno rivelato si pernicioso per molti debitori, i quali si sono trovati esposti ad un indebitamento comples¬sivo di gran lunga superiore a quello che era possibile prefigurarsi al mo¬mento in cui avevano preso del denaro in prestito. Tuttavia, nonostante la generale riprovazione per gli effetti dell'anato¬cismo, gli ordinamenti giuridici contemporanei", preso atto della necessità e, forse, dell'ineludibilità di tale pratica, strettamente connessa ai mecca¬nismi di funzionamento del credito, hanno adottato, quasi sempre, un at¬teggiamento improntato a realismo: senza giungere a vietare l'anatoci¬smo, ne hanno disciplinato i presupposti e le modalità, così da temperar¬ne, in qualche modo, gli effetti maggiormente negativi. L'art. 1283 del codice civile italiano si ispira, per l'appunto, a tale otti¬ca: esso stabilisce, infatti, che gli interessi scaduti possono produrre a loro volta interessi solo in virtù di una convenzione successiva alla scadenza degli stessi ovvero per effetto di una domanda giudiziale, e sempre che si tratti di interessi dovuti per un periodo di almeno sei mesi. Così facendo, il legislatore italiano ha inteso dettare una disciplina tendenzialmente ido¬nea, da un lato, a garantire che alla pattuizione di interessi anatocistici si addivenga solo successivamente alla scadenza degli interessi, dunque quando il debitore è, relativamente, in grado di valutare la propria conve¬nienza; dall'altro, ad evitare che l'adozione di una base temporale di capi¬talizzazione inferiore al semestre, sia in caso di anatocismo convenzionale che giudiziale, determini un incremento dell'esposizione debitoria in mi¬sura eccessiva", In ambito bancario tale disciplina, com'è noto, è stata sempre disap¬plicata, essendo stato costantemente ritenuto, fino appunto al recente 're¬virement' della Corte di Cassazione, che per i rapporti bancari di credito vigessero delle vere e proprie consuetudini, prevalenti sulla normativa codicistica in virtù dello stesso dettato dell'art. 1283 che fa salvi gli usi con¬trari: in particolare, le banche non soltanto hanno sempre applicato l'ana¬tocismo, ma hanno, altresì, praticato una vera e propria disparità di trat¬tamento, capitalizzando su base trimestrale gli interessi a loro favore, su base annuale quelli a favore della clientela'. L'intervento dei giudici, senz'altro degno di approvazione, si è pur¬troppo limitato (e forse non poteva essere diversamente) ad accertare l'esi¬stenza, in ambito bancario, non di veri e propri usi normativi ma soltanto di meri usi negoziali, come tali, quindi, inidonei a derogare a norme pri¬marie". Il legislatore, tuttavia, non ha mancato di ripristinare prontamen¬te la liceità? degli interessi sugli interessi per il settore bancario e finanzia¬rio, dettando una vera e propria disciplina speciale mediante la modifica dell'art. 120 del testo unico bancario (d.lgs. 1.9.1993, n. 385), cui ha fatto seguito l'emanazione, da parte del Comitato Interministeriale per il Cre¬dito ed il Risparmio (C.I.C.R.), della delibera 9 febbraio 2000~ Attual¬mente, dunque, la possibilità di capitalizzare gli interessi è deve essere specificamente approvata per iscritto, a pena di inefficacia, dalla parte interessata. Tale pattuizione, normalmente, viene adottata al¬l'atto stesso dell'instaurazione del rapporto con la banca e, dunque, ante¬riormente alla scadenza degli interessi primari; i soli temperamenti dispo¬sti dal legislatore sono rappresentati, da un lato, dalla necessità di osserva¬re, nell'ambito dei rapporti di conto corrente, una eguale periodicità per la capitalizzazione degli interessi sia dal lato attivo che da quello passivo, e dall'altro, con riferimento più in generale alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, dall'obbligo di adottare misure di tra- .. sparenza idonee a garantire un'adeguata informazione alla clientela circa l'effettivo valore del tasso di interesse applicato". Ovviamente, come era prevedibile, le pattuizioni anatocistiche, in quanto clausole non effettivamente negoziate né negoziabili, perché già predisposte dalle banche nei loro schemi contrattuali, redatti in conformi¬tà a direttive dell'associazione di categoria (AB.I.), vengono tuttora neces¬sariamente sottoscritte dalla parte che ha bisogno del credito bancario, non avendo essa altra concreta alternativa per accedere ad un sistema di finanziamento fortemente connotato dalla regola del 'prendere o lasciare'. Da un punto di vista strettamente giuridico, dunque, il problema dell’anatocismo, oggi come in passato, sembra, in concreto, continuare ad es¬sere circoscritto alla necessità di prevederne un'idonea regolamentazione. Né sembra che le cose stessero sostanzialmente in modo diverso nel¬l'ordinamento giuridico romano: sulla base delle pur non molte fonti a nostra disposizione, risulta evidente, infatti, che il fenomeno dell'anatoci¬smo vi ebbe grande rilevanza, anche in correlazione alla sua estrema dif¬fusione nella pratica degli affari e dei commerci principalmente, ma altresì con riferimento a fattispecie, pure frequenti e significative, in ordine alle quali era prevista l'applicazione di usurae cd. Legali. Nulla perciò autoriz¬za a ritenere, come invece si propende per lo più a fare, che l'anatocismo fosse radicalmente vietato: in realtà, fino all'epoca di Giustiniano, esso ap¬pare, in linea di tendenza, semplicemente regolato, coerentemente a quanto avviene, più in generale, per le usurae. Invero, il problema dell’anatocismo non appare correttamente comprensibile, nell'ordinamento romano come in quelli moderni, se non alla luce della più generale disci¬plina degli interessi: come è stato giustamente osservato Il, un problema di limiti all'anatocismo si pone solo in relazione ad ipotesi in cui i tassi di in¬teresse siano non liberi ma fissati nel massimo: diversamente, il computo di interessi sugli interessi consentirebbe, in concreto, di eludere le soglie stabilite. La storia giuridica dell'anatocismo nell'universo romano appare, dun¬que, il frutto di un intento normativa costante di regolamentazione cui si contrapponevano, nella prassi, continui tentativi di aggirare i vari limiti e divieti: il ricorso alla stipulatio, promessa astratta con la quale ci si obbliga¬va a pagare una determinata somma al creditore, senza specificare quanta parte di essa fosse da imputare al capitale e quanta agli interessi, rappre¬sentò sicuramente uno dei principali strumenti utilizzati per eludere le di¬sposizioni vigenti; del resto, la stessa procedura di capitalizzazione (in sen¬so stretto) degli interessi, molto probabilmente, come si vedrà, sorse e si affermò proprio come un escamotage per poter concretamente aggirare il limite legale delle usurae. Obiettivo del presente lavoro è, per l'appunto, cercare di comprende¬re l'effettiva disciplina che ebbe l'anatocismo nell'esperienza giuridica ro¬mana, sulla scorta dell'osservazione che tale pratica, prima del VI sec. d. C., lungi dall'essere radicalmente vietata, o comunque generalmente perseguita, trovava ampio riconoscimento, seppure entro i limiti in cui fossero rispettate delle specifiche disposizioni normative, di tempo in tem¬po emanate. Sulla base dell'analisi sin qui svolta si può senza dub¬bio ritenere che soltanto con Giustiniano viene radicalmente proibito l'a¬natocismo, inteso come vera e propria capitalizzazione degli interessi. Per l'epoca precedente, disposizioni normative la cui esistenza è men¬zionata da Giustiniano stesso, ma che oggi non siamo assolutamente in grado di identificare né di conoscere nel loro esatto contenuto, avevano disposto varie limitazioni ma esclusivamente con riguardo agli interessi sugli interessi, cioè agli interessi composti in senso stretto, e coerentemen¬te con un più ampio quadro normativo che, non senza contraddizioni e lacune, appariva tendenzialmente diretto a perseguire un generale conte¬nimento dei tassi di interesse!". Peraltro, i continui tentativi di arginare un fenomeno certamente assai diffuso e, in particolare, il ricorso, nella prassi, alla capitalizzazione degli interessi quale espediente per eludere la disciplina restrittiva posta per le usurae usurarum, sembrano deporre inequivocabilmente per una sua ritenu¬ta utilità o addirittura necessità: in altri termini, se nonostante tutto, l'ana¬tocismo continuava ad essere praticato, ciò dovette avvenire perché esso evidentemente, in qualche modo, facilitava l'attività negoziale e rendeva effettivamente concreta, o comunque aumentava, la possibilità di ottenere il credito!", Di tali aspetti non sembra all'oscuro nemmeno Giustiniano, laddove, come si è visto, vieta l'anatocismo ma al contempo insegue, attraverso va¬ri interventi, un difficile e mutevole equilibrio tra le aspirazioni ideali ed i bisogni reali. Nell'esperienza giuridica romana, allora, la disciplina dell'anatocismo, inteso in senso lato, sia come applicazione di interessi sugli interessi già scaduti ovvero ancora da maturare, sia come capitalizzazione degli inte¬ressi medesimi, si caratterizza per un estremo realismo: lungi dal manifestare una preconcetta avversione al fenomeno in sé, l'ordinamento inter¬viene esclusivamente per frenare gli abusi e contenere tale pratica, estre¬mamente diffusa nella realtà, entro limiti ritenuti accettabili. Con tutte le cautele imposte dall'esigenza di non incorrere in inappro¬priate quanto pericolose e distorsive attualizzazioni dei fenomeni storico¬giuridici, sembra potersi affermare che, in buona sostanza, non si ravvisa una effettiva differenza, quanto alla ratio ispiratrice, tra la disciplina che l'anatocismo ebbe nell'esperienza giuridica romana e quella che esso riceve attualmente nell'ordinamento giuridico italiano: in entrambi i casi, in¬fatti, con evidente senso di realismo, l'intento precipuamente perseguito è soltanto quello di evitare le possibili degenerazioni di un fenomeno che, nonostante tutto e prescindendo da ogni altra considerazione di tipo moraleggiante o sociologico, (continua a) corrisponde(re) a regole economico¬finanziarie costantemente seguite ed applicate nella pratica creditizia e che, come tale, può essere regolamentato ma non, sic et simpliciter, cancel¬lato per effetto della sola voluntas legis.
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