L’espressione logos sensibile riferita a Zambrano allude a un’esperienza di pensiero che, rimeditando la lezione nietzchiana, cerca l’infezione della vita e di ciò che è stato dal pensiero negato e rimosso: le viscere e il sacro. A questo pensiero infiltrato e volutamente impuro Zambrano dà il nome di ragione poetica. Una ragione in continuo transito, a cui è proprio il movimento del dentro-fuori, dell’andare-ritornare per il quale né il “lato oscuro” né il pensiero stesso rimangono eguali a quel che prima erano. Tale movimento rimanda a un concetto centrale della riflessione zambraniana: la pietà. Della pietà può dirsi sinteticamente che è “la matrice originaria della vita del sentire”. La pietà, infatti, è per Zambrano la maniera in cui nel sacrificio l’uomo e il dio comunicano fra loro: l’uomo dona qualcosa di sé al dio e il dio dona qualcosa di sé all’uomo. In tal modo l’uno è partecipe dell’altro senza che fra le parti vi sia fusione o reciproco possesso e né, tantomeno, si stabilisca forma alcuna di dominio. Ciascuna parte, però, trattiene su di sé il segno del contatto e nel trattenerlo accede a un sentire plurale, infiltrato, misto. Il “saper trattare con l’altro” che la pietà instaura – altro è anche il sacro e le viscere di cui l’arte è pensiero in immagine - esclude la generica benevolenza come anche la tolleranza (l’esser differente è disvalore tollerato), muovendo da ciò si è tentato di dimostrare come l’idea zambraniana di pietà – da qui la scelta di valorizzarne la presenza nella riflessione della Zambrano – potesse contribuire a dare risposta all’esigenza del nostro tempo di un “gesto” capace di superare negazione e annessione. Se la pietà è modo di comunicare delle differenze senza che di queste sia piegata o vinta l’irriducibile alterità, si tratta di fare del loro opporsi una forma di contatto e del contatto il reciproco contagiarsi e trasformarsi della sfera dell’estetico.
Il logos sensibile di María Zambrano
DE LUCA, Maria Giuseppina
2004
Abstract
L’espressione logos sensibile riferita a Zambrano allude a un’esperienza di pensiero che, rimeditando la lezione nietzchiana, cerca l’infezione della vita e di ciò che è stato dal pensiero negato e rimosso: le viscere e il sacro. A questo pensiero infiltrato e volutamente impuro Zambrano dà il nome di ragione poetica. Una ragione in continuo transito, a cui è proprio il movimento del dentro-fuori, dell’andare-ritornare per il quale né il “lato oscuro” né il pensiero stesso rimangono eguali a quel che prima erano. Tale movimento rimanda a un concetto centrale della riflessione zambraniana: la pietà. Della pietà può dirsi sinteticamente che è “la matrice originaria della vita del sentire”. La pietà, infatti, è per Zambrano la maniera in cui nel sacrificio l’uomo e il dio comunicano fra loro: l’uomo dona qualcosa di sé al dio e il dio dona qualcosa di sé all’uomo. In tal modo l’uno è partecipe dell’altro senza che fra le parti vi sia fusione o reciproco possesso e né, tantomeno, si stabilisca forma alcuna di dominio. Ciascuna parte, però, trattiene su di sé il segno del contatto e nel trattenerlo accede a un sentire plurale, infiltrato, misto. Il “saper trattare con l’altro” che la pietà instaura – altro è anche il sacro e le viscere di cui l’arte è pensiero in immagine - esclude la generica benevolenza come anche la tolleranza (l’esser differente è disvalore tollerato), muovendo da ciò si è tentato di dimostrare come l’idea zambraniana di pietà – da qui la scelta di valorizzarne la presenza nella riflessione della Zambrano – potesse contribuire a dare risposta all’esigenza del nostro tempo di un “gesto” capace di superare negazione e annessione. Se la pietà è modo di comunicare delle differenze senza che di queste sia piegata o vinta l’irriducibile alterità, si tratta di fare del loro opporsi una forma di contatto e del contatto il reciproco contagiarsi e trasformarsi della sfera dell’estetico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.