“Svettano, al di sopra dei vecchi edifici, le nuove ardite costruzioni, si allargano i confini, si abbellisce il Lungomare di luci e di fiori, si riattano le macchine negli opifici e nelle fonderie, mentre torna a cantare nel cuore la gioia di vita ed a pulsare nelle vene della città meravigliosa il giovanile impegno di nuove conquiste. Rimarginate le recenti ferite la città si avvia decisamente a giuocare nella vita della nazione l’importante ruolo di primario centro turistico.” Così descriveva Salerno una guida del 1953, riassumendo le due non recenti ambizioni della città. Da un lato, la Salerno con l’aspirazione – coltivata da tempo, in particolare, negli anni tra le due guerre – di centro produttivo votato alla modernità dell’industria. Dall’altro, la bella e ridente città di mare, non priva di tradizioni storiche e monumentali e perciò essa stessa meta turistica, per non dire delle sfolgoranti attrazioni paesaggistiche e monumentali delle sue aree più vicine: la costiera di Amalfi e i siti archeologici di Paestum ed Agropoli. Nel 1953 le mura della città accoglievano 97.000 anime, destinate nel giro di due anni a diventare 100.000, raggiungendo così un significativo traguardo demografico di evidente valore simbolico, che testimoniava la vitalità delle sue genti e delle sue attività, tanto da far scorgere la possibilità di raggiungere la soglia di 200.000 abitanti nel giro di un cinquantennio. L’ambizione di essere grande città, sede delle principali funzioni amministrative, ma anche centro propulsore dello sviluppo di vaste aree regionali, che comprendevano, accanto ai territori provinciali, quelli dell’Avellinese e dello stesso Potentino, trovava una formale conferma nella sostenuta crescita demografica avviata negli anni Trenta. In un quarto di secolo Salerno aveva visto la sua popolazione aumentare di due terzi, collocandosi nel ristretto numero dei grandi centri urbani italiani, quelli che superavano i 100.000 abitanti, la soglia proposta nel 1961 da Bruno Nice come dato demografico significativo della condizione di “grande città”.
Ritratto di borghesie meridionali. Storia sociale dei salernitani nel Novecento
PANICO, Guido
2005-01-01
Abstract
“Svettano, al di sopra dei vecchi edifici, le nuove ardite costruzioni, si allargano i confini, si abbellisce il Lungomare di luci e di fiori, si riattano le macchine negli opifici e nelle fonderie, mentre torna a cantare nel cuore la gioia di vita ed a pulsare nelle vene della città meravigliosa il giovanile impegno di nuove conquiste. Rimarginate le recenti ferite la città si avvia decisamente a giuocare nella vita della nazione l’importante ruolo di primario centro turistico.” Così descriveva Salerno una guida del 1953, riassumendo le due non recenti ambizioni della città. Da un lato, la Salerno con l’aspirazione – coltivata da tempo, in particolare, negli anni tra le due guerre – di centro produttivo votato alla modernità dell’industria. Dall’altro, la bella e ridente città di mare, non priva di tradizioni storiche e monumentali e perciò essa stessa meta turistica, per non dire delle sfolgoranti attrazioni paesaggistiche e monumentali delle sue aree più vicine: la costiera di Amalfi e i siti archeologici di Paestum ed Agropoli. Nel 1953 le mura della città accoglievano 97.000 anime, destinate nel giro di due anni a diventare 100.000, raggiungendo così un significativo traguardo demografico di evidente valore simbolico, che testimoniava la vitalità delle sue genti e delle sue attività, tanto da far scorgere la possibilità di raggiungere la soglia di 200.000 abitanti nel giro di un cinquantennio. L’ambizione di essere grande città, sede delle principali funzioni amministrative, ma anche centro propulsore dello sviluppo di vaste aree regionali, che comprendevano, accanto ai territori provinciali, quelli dell’Avellinese e dello stesso Potentino, trovava una formale conferma nella sostenuta crescita demografica avviata negli anni Trenta. In un quarto di secolo Salerno aveva visto la sua popolazione aumentare di due terzi, collocandosi nel ristretto numero dei grandi centri urbani italiani, quelli che superavano i 100.000 abitanti, la soglia proposta nel 1961 da Bruno Nice come dato demografico significativo della condizione di “grande città”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.