Il patto di famiglia (artt. 768 bis ss. c.c.), pur muovendosi in un àmbito diverso dalla delazione ereditaria, ricalca la logica della successione mortis causa volta ad affermare i diritti della famiglia alla continuità e alla solidarietà. La continuità sembra essere rimarcata dalla testuale limitazione della assegnazione ai «discendenti». L’istanza di solidarietà emerge dalla statuizione della doverosità del coinvolgimento dei potenziali legittimari alla stipula del patto. La causa familiae colora pertanto la regolamentazione del futuro assetto successorio dell’azienda o della governance; del resto, l’esplicito riferimento alla famiglia contenuto nella stessa denominazione dell’istituto induce ad escludere che la finalità promozionale della attività di impresa possa comportare un esautoramento delle ragioni della famiglia o costituire, in via esclusiva, la ratio ispiratrice della riforma. La specifica inerenza della vicenda del passaggio generazionale alle strutture economiche a base familiare fa sì che il menzionato obiettivo della continuità si colori di una precisa connotazione assiologica. I problemi connessi alla ineludibile «sovrapposizione istituzionale», la quale ha luogo quando l’impresa si piega ad un soddisfacimento diretto dei bisogni familiari abdicando alla logica della razionalità economica, possono essere arginati se si accoglie l’idea che «l’impresa familiare può trovare nella famiglia i valori culturali di fondo in grado di orientare naturalmente i comportamenti gestionali verso gli obiettivi dell’impresa, stimolando elevati livelli di impegno e motivazione». Determinante si rivela pertanto il modo con il quale i principi guida e i valori culturali della famiglia, investita di un prioritario diritto e dovere di attuare il «progetto educativo», vengono trasferiti ed assimilati nell’impresa. Non meno rilevante è peraltro il modo nel quale la cultura d’impresa influenza la vita familiare: da qui l’esigenza di affidare la scelta della successione nella titolarità del complesso produttivo a regole chiare e condivise. Occorre dunque guardare al patto di famiglia non semplicemente come ad un meccanismo di trasmissione della ricchezza (nell’interesse) familiare, bensì come ad uno strumento che, stante la relazione simbiotica fra le entità coinvolte – le quali rinvengono nella persona umana il propria riferimento valoriale – tende ad attuare, mediante l’accordo familiare, un obiettivo di razionalità economica, quale la continuazione e l’efficienza dell’impresa. Siffatto obiettivo, proprio in considerazione di quella relazione simbiotica, si arricchisce di una dimensione etica, fonte essa stessa di sopravvivenza per le imprese a carattere familiare.

“Patto di famiglia, solidarietà familiare e family business”

IMBRENDA, Mariassunta
2007-01-01

Abstract

Il patto di famiglia (artt. 768 bis ss. c.c.), pur muovendosi in un àmbito diverso dalla delazione ereditaria, ricalca la logica della successione mortis causa volta ad affermare i diritti della famiglia alla continuità e alla solidarietà. La continuità sembra essere rimarcata dalla testuale limitazione della assegnazione ai «discendenti». L’istanza di solidarietà emerge dalla statuizione della doverosità del coinvolgimento dei potenziali legittimari alla stipula del patto. La causa familiae colora pertanto la regolamentazione del futuro assetto successorio dell’azienda o della governance; del resto, l’esplicito riferimento alla famiglia contenuto nella stessa denominazione dell’istituto induce ad escludere che la finalità promozionale della attività di impresa possa comportare un esautoramento delle ragioni della famiglia o costituire, in via esclusiva, la ratio ispiratrice della riforma. La specifica inerenza della vicenda del passaggio generazionale alle strutture economiche a base familiare fa sì che il menzionato obiettivo della continuità si colori di una precisa connotazione assiologica. I problemi connessi alla ineludibile «sovrapposizione istituzionale», la quale ha luogo quando l’impresa si piega ad un soddisfacimento diretto dei bisogni familiari abdicando alla logica della razionalità economica, possono essere arginati se si accoglie l’idea che «l’impresa familiare può trovare nella famiglia i valori culturali di fondo in grado di orientare naturalmente i comportamenti gestionali verso gli obiettivi dell’impresa, stimolando elevati livelli di impegno e motivazione». Determinante si rivela pertanto il modo con il quale i principi guida e i valori culturali della famiglia, investita di un prioritario diritto e dovere di attuare il «progetto educativo», vengono trasferiti ed assimilati nell’impresa. Non meno rilevante è peraltro il modo nel quale la cultura d’impresa influenza la vita familiare: da qui l’esigenza di affidare la scelta della successione nella titolarità del complesso produttivo a regole chiare e condivise. Occorre dunque guardare al patto di famiglia non semplicemente come ad un meccanismo di trasmissione della ricchezza (nell’interesse) familiare, bensì come ad uno strumento che, stante la relazione simbiotica fra le entità coinvolte – le quali rinvengono nella persona umana il propria riferimento valoriale – tende ad attuare, mediante l’accordo familiare, un obiettivo di razionalità economica, quale la continuazione e l’efficienza dell’impresa. Siffatto obiettivo, proprio in considerazione di quella relazione simbiotica, si arricchisce di una dimensione etica, fonte essa stessa di sopravvivenza per le imprese a carattere familiare.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/1725356
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