Questo libro vuole identificare, per i tre distinti temi, una comune chiave di lettura intravista nella loro eccentricità o, meglio, loro marginalità rispetto ai canoni dominanti della «storia» e della «Chiesa». Gi argomenti qui trattati cercano, a loro modo, di mostrare un’occulta metafora del destino di alcuni temi storiografici. Si pensi ai valdesi del Mezzogiorno d’Italia e alla marginalità di temi e di problemi legati alla loro storia mediterranea nella produzione letteraria coeva e successiva. Una sfrontata devianza dalle regole dominanti in ambito cattolico, ma per alcuni aspetti anche in ambito protestante, ha per secoli espunti i valdesi radicatisi nel Sud d’Italia a partire dal secondo Medioevo dalla storia e dalle Chiese. Recuperare i motivi di fondo, sotto l’aspetto storico e storiografico, di questa esclusione, di questa marginalità, a cui stiamo prestando attenzione già da qualche tempo, costituisce l’oggetto del primo saggio qui presentato. Riempire lo spazio sottratto dalla Chiesa alla storia, associando alla realtà salernitana del secolo XVI alcuni temi di ricerca affini al più generale problema della Riforma in Italia, ci conduce ad uno dei luoghi dell’Italia moderna, la cui identità culturale e spirituale è stata tecnicamente plasmata dall’azione della Chiesa nella storia. Si tratta di quella «Salerno moderna», che a giusta ragione Aurelio Musi ha definito «città assente», dove l’importanza abnorme dell’attività svolta dai suoi Arcivescovi prima e dopo il Concilio di Trento ne ha affogato, se così possiamo dire, ogni forma di dissenso religioso. Smarrito anche dalla memoria letteraria, questo spazio tematico è stato ritenuto addirittura di scarso interesse dagli studi storici meridionali degli ultimi cinquant’anni e ciò per effetto, soprattutto, dell’attenzione rivolta da certa storiografia ai temi della magia o del folklore considerati più rappresentativi dello sviluppo culturale del Mezzogiorno d’Italia in epoca moderna rispetto ai meno appariscenti fermenti spirituali o, per dirla con Cantimori, nuovi ideali di vita religiosa. Effetto, questo, probabilmente di lunga durata e legato alla Controriforma, che anche in Salerno ha dettato alcune fondamentali regole per il disciplinamento della vita del buon cristiano. Dall’esame di alcuni documenti notarili della Salerno cinquecentesca cominciano ora ad emergere sottili tracce, convergenze inaspettate, intersezioni di percorsi marginali, che pur mettono in evidenza aspetti di una città che non fu aliena da qualche tendenza ereticale. Ma su questo terreno di ricerca ancora molto resta da indagare. L’eruzione vesuviana del 1631 è stata frequentemente trascurata dagli studi di storia moderna. Da qui l’esigenza di riprenderne il contenuto storico, partendo dalla maschera linguistica di un autore seicentesco, l’abate Giulio Cesare Braccini, additato da «eruditi fededegni» a modello di dottrina scientifica e chiarezza storica. Dalla lettura delle pagine del suo trattatello dedicato all’«incendio fattosi nel Vesuvio a XVI di dicembre MDCXXXI», si coglie la fantasia verbale di un abate, su cui solo oggi cominciano ad affiorare più precise conoscenze. Codici linguistici e occulte metafore legate, nel primo Seicento italiano, ai loci tomistico-aristitelici e, ancor più, ai dettami della seconda Scolastica spagnola, ci consentono di rilevare alcune, sostanziali alterazioni del racconto storico relativo all’eruzione vulcanica del 1631. La narrazione di chiara matrice barocca espressa dall’abate lucchese, uomo, a suo modo, depositario dei rigori morali controriformistici, ma anche attento osservatore delle realtà politiche del suo tempo, cela il grande tema della forza condizionante della cultura classica, greca e latina, sugli eruditi del secolo XVII. Per rimanere nell’ambito del corretto uso della storia, allora, abbiamo sconfinato un po’, improvvisandoci critici della letteratura per avviare un discorso sulla critica storica dell’opera del Braccini, un lettore-spettatore del Vesuvio e della realtà gravitante intorno ad esso. Comunque, il tentativo di riproporre un testo da sempre trattato dai vulcanologi con poca cura filologica andava fatto. Si converrà che la storia di questo evento vulcanico e del suomaggior narratore è fino ad oggi troppo approssimativamente nota.

La Storia e la Chiesa (secoli XVI-XVII).Ricerche e letture critiche

TORTORA, Alfonso
2007-01-01

Abstract

Questo libro vuole identificare, per i tre distinti temi, una comune chiave di lettura intravista nella loro eccentricità o, meglio, loro marginalità rispetto ai canoni dominanti della «storia» e della «Chiesa». Gi argomenti qui trattati cercano, a loro modo, di mostrare un’occulta metafora del destino di alcuni temi storiografici. Si pensi ai valdesi del Mezzogiorno d’Italia e alla marginalità di temi e di problemi legati alla loro storia mediterranea nella produzione letteraria coeva e successiva. Una sfrontata devianza dalle regole dominanti in ambito cattolico, ma per alcuni aspetti anche in ambito protestante, ha per secoli espunti i valdesi radicatisi nel Sud d’Italia a partire dal secondo Medioevo dalla storia e dalle Chiese. Recuperare i motivi di fondo, sotto l’aspetto storico e storiografico, di questa esclusione, di questa marginalità, a cui stiamo prestando attenzione già da qualche tempo, costituisce l’oggetto del primo saggio qui presentato. Riempire lo spazio sottratto dalla Chiesa alla storia, associando alla realtà salernitana del secolo XVI alcuni temi di ricerca affini al più generale problema della Riforma in Italia, ci conduce ad uno dei luoghi dell’Italia moderna, la cui identità culturale e spirituale è stata tecnicamente plasmata dall’azione della Chiesa nella storia. Si tratta di quella «Salerno moderna», che a giusta ragione Aurelio Musi ha definito «città assente», dove l’importanza abnorme dell’attività svolta dai suoi Arcivescovi prima e dopo il Concilio di Trento ne ha affogato, se così possiamo dire, ogni forma di dissenso religioso. Smarrito anche dalla memoria letteraria, questo spazio tematico è stato ritenuto addirittura di scarso interesse dagli studi storici meridionali degli ultimi cinquant’anni e ciò per effetto, soprattutto, dell’attenzione rivolta da certa storiografia ai temi della magia o del folklore considerati più rappresentativi dello sviluppo culturale del Mezzogiorno d’Italia in epoca moderna rispetto ai meno appariscenti fermenti spirituali o, per dirla con Cantimori, nuovi ideali di vita religiosa. Effetto, questo, probabilmente di lunga durata e legato alla Controriforma, che anche in Salerno ha dettato alcune fondamentali regole per il disciplinamento della vita del buon cristiano. Dall’esame di alcuni documenti notarili della Salerno cinquecentesca cominciano ora ad emergere sottili tracce, convergenze inaspettate, intersezioni di percorsi marginali, che pur mettono in evidenza aspetti di una città che non fu aliena da qualche tendenza ereticale. Ma su questo terreno di ricerca ancora molto resta da indagare. L’eruzione vesuviana del 1631 è stata frequentemente trascurata dagli studi di storia moderna. Da qui l’esigenza di riprenderne il contenuto storico, partendo dalla maschera linguistica di un autore seicentesco, l’abate Giulio Cesare Braccini, additato da «eruditi fededegni» a modello di dottrina scientifica e chiarezza storica. Dalla lettura delle pagine del suo trattatello dedicato all’«incendio fattosi nel Vesuvio a XVI di dicembre MDCXXXI», si coglie la fantasia verbale di un abate, su cui solo oggi cominciano ad affiorare più precise conoscenze. Codici linguistici e occulte metafore legate, nel primo Seicento italiano, ai loci tomistico-aristitelici e, ancor più, ai dettami della seconda Scolastica spagnola, ci consentono di rilevare alcune, sostanziali alterazioni del racconto storico relativo all’eruzione vulcanica del 1631. La narrazione di chiara matrice barocca espressa dall’abate lucchese, uomo, a suo modo, depositario dei rigori morali controriformistici, ma anche attento osservatore delle realtà politiche del suo tempo, cela il grande tema della forza condizionante della cultura classica, greca e latina, sugli eruditi del secolo XVII. Per rimanere nell’ambito del corretto uso della storia, allora, abbiamo sconfinato un po’, improvvisandoci critici della letteratura per avviare un discorso sulla critica storica dell’opera del Braccini, un lettore-spettatore del Vesuvio e della realtà gravitante intorno ad esso. Comunque, il tentativo di riproporre un testo da sempre trattato dai vulcanologi con poca cura filologica andava fatto. Si converrà che la storia di questo evento vulcanico e del suomaggior narratore è fino ad oggi troppo approssimativamente nota.
2007
9788888813189
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/1742110
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