Il libro nasce da una ricerca sul tema della visibilità in alcune opere della modernità letteraria italiana. I capitoli si annodano lungo una doppia modalità di lettura. La prima riguarda le opere in cui appare evidente l’intento dell’autore di isolare – per dirla con Italo Calvino – una «immaginazione visiva»: la scrittura “si lascia vedere” mentre narra attraverso le figure. Nascono così i capitoli della Fotografia della «casa del nespolo» (Verga), le improbabili istantanee inserite nel racconto Il povero Piero di Achille Campanile, i racconti-fotogrammi di Palomar (Italo Calvino), le Postkarten di Edoardo Sanguineti e le Rime di viaggio per la terra dipinta di Alfonso Gatto. La seconda serie di capitoli affronta un tema più complesso muovendo da una domanda: una (particolare) immagine fotografica è in grado di contenere (e di “produrre”) una fabula? Sia muovendo dagli elementi costitutivi dell’immagine (prospetto, luce, posa, scelta) e quindi, dall’intenzione e dalla volontà dell’autore-fotografo; e sia nel lettore che, sedotto dall’immagine, le affida una del tutto privata riflessione, una sorta di continuità narrativa. E sulla scorta della lezione di Roland Barthes, nasce l’ipotesi di poter affidare all’immagine fotografica una intentio auctoris e una intenzio lectoris (e a partire proprio da una intentio operis). La posa fotografica assume – come dire? – una funzione argomentativa, un ruolo recitativo col reale, e non adempie soltanto ad un semplice compito riproduttivo. Ed è così che poesie nascono da un dagherrotipo (L’amica di nonna Speranza, Guido Gozzano); sul rovescio di una «bella fotografia» (Io non mi vedo, Umberto Saba); dallo sguardo di Eugenio Montale su una gualcita istantanea di «Clizia», nel 1938, a Siena; prose e pitture dal rapporto con la fotografia in D’Annunzio e Michetti; accanto alle istantanee del padre si compongono i «brevi appunti» di Lalla Romano fino a completare un Romanzo di figure; e il vagabondare di Gianni Celati nelle descrizioni di Verso la foce s’incontra con il fare fotografico dell’amico Luigi Ghirri; e, infine, Antonio Tabucchi gioca con una fotografia sulla copertina di due suoi libri e ne fa un racconto Si sta facendo sempre più tardi. Si fa presente che i capitoli 9, 10 e 11, presenti nel volume, nascono dalla riscrittura di saggi apparsi in data anteriore al 2004. Tale rivisitazione condotta nell’anno immediatamente precedente la data di pubblicazione (2009), li ha resi profondamente differenti nel contenuto e nello stile rispetto agli originali e congrui allo sviluppo in capitoli del libro.

Il racconto delle immagini. La fotografia nella modernità letteraria italiana

AJELLO, Epifanio
2009-01-01

Abstract

Il libro nasce da una ricerca sul tema della visibilità in alcune opere della modernità letteraria italiana. I capitoli si annodano lungo una doppia modalità di lettura. La prima riguarda le opere in cui appare evidente l’intento dell’autore di isolare – per dirla con Italo Calvino – una «immaginazione visiva»: la scrittura “si lascia vedere” mentre narra attraverso le figure. Nascono così i capitoli della Fotografia della «casa del nespolo» (Verga), le improbabili istantanee inserite nel racconto Il povero Piero di Achille Campanile, i racconti-fotogrammi di Palomar (Italo Calvino), le Postkarten di Edoardo Sanguineti e le Rime di viaggio per la terra dipinta di Alfonso Gatto. La seconda serie di capitoli affronta un tema più complesso muovendo da una domanda: una (particolare) immagine fotografica è in grado di contenere (e di “produrre”) una fabula? Sia muovendo dagli elementi costitutivi dell’immagine (prospetto, luce, posa, scelta) e quindi, dall’intenzione e dalla volontà dell’autore-fotografo; e sia nel lettore che, sedotto dall’immagine, le affida una del tutto privata riflessione, una sorta di continuità narrativa. E sulla scorta della lezione di Roland Barthes, nasce l’ipotesi di poter affidare all’immagine fotografica una intentio auctoris e una intenzio lectoris (e a partire proprio da una intentio operis). La posa fotografica assume – come dire? – una funzione argomentativa, un ruolo recitativo col reale, e non adempie soltanto ad un semplice compito riproduttivo. Ed è così che poesie nascono da un dagherrotipo (L’amica di nonna Speranza, Guido Gozzano); sul rovescio di una «bella fotografia» (Io non mi vedo, Umberto Saba); dallo sguardo di Eugenio Montale su una gualcita istantanea di «Clizia», nel 1938, a Siena; prose e pitture dal rapporto con la fotografia in D’Annunzio e Michetti; accanto alle istantanee del padre si compongono i «brevi appunti» di Lalla Romano fino a completare un Romanzo di figure; e il vagabondare di Gianni Celati nelle descrizioni di Verso la foce s’incontra con il fare fotografico dell’amico Luigi Ghirri; e, infine, Antonio Tabucchi gioca con una fotografia sulla copertina di due suoi libri e ne fa un racconto Si sta facendo sempre più tardi. Si fa presente che i capitoli 9, 10 e 11, presenti nel volume, nascono dalla riscrittura di saggi apparsi in data anteriore al 2004. Tale rivisitazione condotta nell’anno immediatamente precedente la data di pubblicazione (2009), li ha resi profondamente differenti nel contenuto e nello stile rispetto agli originali e congrui allo sviluppo in capitoli del libro.
2009
9788846723321
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/2284500
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