I vv. 681-693 dei Persiani, contenenti le prime parole pronunciate dal fantasma di Dario, presentano diverse difficoltà sia testuali sia interpretative, che possono essere affrontate e risolte ricorrendo ai contributi ricavabili dall'analisi dell'intera tradizione a stampa eschilea e in particolare dei commenti dedicati al passo. Particolarmente ostico è il v. 683 (Stevnei, kevkoptai, kai; caravssetai pevdon), nel quale la principale difficoltà risiede nella corretta individuazione del soggetto o dei soggetti dei tre verbi. In accordo con studiosi quali Schütz, Paley e Pontani si ritiene che «pevdon possa essere considerato soggetto dei tre verbi. Dal punto di vista ermeneutico pevdon e povli" sono equivalenti, come risulta evidente anche dalla lettura dei precedenti versi, in quanto la città sorge su quella terra e il Coro calpesta quel suolo, che è al tempo stesso terra d'Asia e città di Susa». Di difficile lettura appare ancora il v. 692, che West stampa h{kw: tavcune dÆ, wJ" a[mempto" w\ crovnou. La fretta manifestata da Dario non è qui generata dal timore di un rimprovero da parte delle altre potenze infere per aver violato le leggi dell'aldilà: anche tra le ombre, infatti, il sovrano persiano sembra godere dello stesso prestigio e della stessa autorità avuti in vita. Il fantasma invece incalza il coro, quasi paralizzato dalla venerazione per il vecchio re, per desiderio di conoscere quale sciagura si sia riversata sul suo impero. Dell'intero problematico passo si offre questa traduzione: «O voi che siete come i più fedeli compagni della mia giovinezza, o Persiani venerandi, quale pena opprime la città? La terra geme, è flagellata, quasi si apre. Scorgendo la mia sposa accanto alla tomba, provo turbamento, e accolsi con favore le libagioni. Anche voi, stando accanto alla tomba, levate un lamento, e con grida e gemiti evocatori di anime mi chiamate, e suscitate la mia pietà. Non è agevole l'uscita, gli dei inferi sono infatti più capaci a prendere che a lasciare andare. E tuttavia io, godendo di autorità presso di loro, giungo; ma tu affrettati, affinché non sia rimproverato di essere in ritardo. Quale inatteso male opprime i Persiani?».
Eschilo, Pers. 681-693
VOLPE, Paola
2009-01-01
Abstract
I vv. 681-693 dei Persiani, contenenti le prime parole pronunciate dal fantasma di Dario, presentano diverse difficoltà sia testuali sia interpretative, che possono essere affrontate e risolte ricorrendo ai contributi ricavabili dall'analisi dell'intera tradizione a stampa eschilea e in particolare dei commenti dedicati al passo. Particolarmente ostico è il v. 683 (Stevnei, kevkoptai, kai; caravssetai pevdon), nel quale la principale difficoltà risiede nella corretta individuazione del soggetto o dei soggetti dei tre verbi. In accordo con studiosi quali Schütz, Paley e Pontani si ritiene che «pevdon possa essere considerato soggetto dei tre verbi. Dal punto di vista ermeneutico pevdon e povli" sono equivalenti, come risulta evidente anche dalla lettura dei precedenti versi, in quanto la città sorge su quella terra e il Coro calpesta quel suolo, che è al tempo stesso terra d'Asia e città di Susa». Di difficile lettura appare ancora il v. 692, che West stampa h{kw: tavcune dÆ, wJ" a[mempto" w\ crovnou. La fretta manifestata da Dario non è qui generata dal timore di un rimprovero da parte delle altre potenze infere per aver violato le leggi dell'aldilà: anche tra le ombre, infatti, il sovrano persiano sembra godere dello stesso prestigio e della stessa autorità avuti in vita. Il fantasma invece incalza il coro, quasi paralizzato dalla venerazione per il vecchio re, per desiderio di conoscere quale sciagura si sia riversata sul suo impero. Dell'intero problematico passo si offre questa traduzione: «O voi che siete come i più fedeli compagni della mia giovinezza, o Persiani venerandi, quale pena opprime la città? La terra geme, è flagellata, quasi si apre. Scorgendo la mia sposa accanto alla tomba, provo turbamento, e accolsi con favore le libagioni. Anche voi, stando accanto alla tomba, levate un lamento, e con grida e gemiti evocatori di anime mi chiamate, e suscitate la mia pietà. Non è agevole l'uscita, gli dei inferi sono infatti più capaci a prendere che a lasciare andare. E tuttavia io, godendo di autorità presso di loro, giungo; ma tu affrettati, affinché non sia rimproverato di essere in ritardo. Quale inatteso male opprime i Persiani?».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.