Convenzionalmente riconosciuto fra i padri del racconto moderno, Čechov raggiunge il pubblico dei lettori anglofoni nelle traduzioni apparse a partire dai primi anni del ‘900 a cura di Constance Garnett e diviene rapidamente uno dei modelli di riferimento di quella generazione di giovani scrittori che all’inizio del nuovo secolo è tenacemente impegnata nel tentativo di modernizzare e sprovincializzare il mondo delle lettere britannico, aprendolo alle influenze continentali. Tra i protagonisti della sperimentazione modernista che alla figura di Čechov esplicitamente si richiamano, paradigmatico è l’esempio di Katherine Mansfield In Čechov Mansfield riconosce uno spirito affine - cui l’accomunerà, fra l’altro, la tragica esperienza della malattia e di una morte precoce - e, soprattutto, una consonanza di ispirazione e intenti. Attraverso l’analisi di tre coppie di racconti, il saggio che qui si presenta si propone di mettere a fuoco la fitta trama dei nessi che collegano il macrotesto mansfieldiano a quello di Čechov. Nessi di natura diversa che vanno dalla condivisione di alcuni procedimenti compositivi alla ripresa di nuclei tematici specifici, dalla condensazione di una situazione o di uno stato d’animo in un’immagine o in un gesto che assumono valore metaforico ed epifanico, alla evocazione lirica di paesaggi e scenari naturali dotati di valenze archetipiche. La relazione fra i due autori, convenzionalmente interpretata dalla critica attraverso le nozioni di influenza o plagio, è qui invece letta come un dialogo nel quale, all’interno del macrotesto mansfieldiano, la traccia della parola altrui - sotto forma di criptocitazione, eco cosciente, rimando implicito – sembra volutamente e deliberatamente sollecitare una lettura per così dire in controluce, sì da recuperare il gioco dell’intertestualità al suo significato di autonoma produzione di senso.

Pagine allo specchio: Katherine Mansfield e Anton Chechov

LOPS, Marina
2009-01-01

Abstract

Convenzionalmente riconosciuto fra i padri del racconto moderno, Čechov raggiunge il pubblico dei lettori anglofoni nelle traduzioni apparse a partire dai primi anni del ‘900 a cura di Constance Garnett e diviene rapidamente uno dei modelli di riferimento di quella generazione di giovani scrittori che all’inizio del nuovo secolo è tenacemente impegnata nel tentativo di modernizzare e sprovincializzare il mondo delle lettere britannico, aprendolo alle influenze continentali. Tra i protagonisti della sperimentazione modernista che alla figura di Čechov esplicitamente si richiamano, paradigmatico è l’esempio di Katherine Mansfield In Čechov Mansfield riconosce uno spirito affine - cui l’accomunerà, fra l’altro, la tragica esperienza della malattia e di una morte precoce - e, soprattutto, una consonanza di ispirazione e intenti. Attraverso l’analisi di tre coppie di racconti, il saggio che qui si presenta si propone di mettere a fuoco la fitta trama dei nessi che collegano il macrotesto mansfieldiano a quello di Čechov. Nessi di natura diversa che vanno dalla condivisione di alcuni procedimenti compositivi alla ripresa di nuclei tematici specifici, dalla condensazione di una situazione o di uno stato d’animo in un’immagine o in un gesto che assumono valore metaforico ed epifanico, alla evocazione lirica di paesaggi e scenari naturali dotati di valenze archetipiche. La relazione fra i due autori, convenzionalmente interpretata dalla critica attraverso le nozioni di influenza o plagio, è qui invece letta come un dialogo nel quale, all’interno del macrotesto mansfieldiano, la traccia della parola altrui - sotto forma di criptocitazione, eco cosciente, rimando implicito – sembra volutamente e deliberatamente sollecitare una lettura per così dire in controluce, sì da recuperare il gioco dell’intertestualità al suo significato di autonoma produzione di senso.
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