In un importante convegno internazionale, tenutosi qualche anno fa presso l’Università di Salerno sul tema delle città fortificate all’interno del sistema territoriale, il patrimonio storico-architettonico era descritto come costituito da “emergenze ricche di valori simbolici, integrate nel territorio di cui hanno finito per assumere un ruolo di riferimento, per le quali non appare più proponibile l’originaria funzione (e pertanto) occorre interrogarsi sul come riaccendere le luci tra le loro spesse mura, partendo dalle potenzialità che ad esse derivano dalla singolarità dei rapporti stabiliti nel tempo con i luoghi, con l’uomo e con la memoria”. Parole con le quali, nel manifesto dell’incontro, si sottolineava la rilevanza della verifica di sostenibilità finanziaria ed economica nei progetti finalizzati alla rifunzionalizzazione di siti e ambiti fortemente storicizzati. L’equilibrio di bilancio, da ricercare in fase di investimento e di gestione, rappresenta allora un obiettivo specifico per le iniziative di valorizzazione del patrimonio storico-architettonico e ambientale, peraltro complicato ove le istanze di tutela sono più forti, data la valenza del capitale culturale in gioco. Il pensiero disciplinare in materia ha, come noto, subìto una costante evoluzione negli ultimi decenni, e ciò è testimoniato dalla vasta produzione scientifica disponibile. Di contro, il quadro normativo di riferimento raramente è risultato idoneo alla trasposizione nella realtà dei principi teorici sviluppati. Carenze evidenziatesi sia in termini di tempistica che di contenuto . L’idiosincrasia tra i due ambiti è attribuibile in modo rilevante a problematiche di natura economica. La scarsità di risorse pubbliche ha rappresentato, nei fatti, uno degli ostacoli più seri verso l’investimento in un settore da sempre considerato a basso indice di redditività. Si tratta, allora, di coniugare concretamente istanze di tutela (o di rigenerazione, ove i siti siano fortemente contaminati) con le aspirazioni allo sviluppo di distretti culturali spesso gravati da condizioni socio-economiche pesanti. Nelle quali le comunità locali di frequente hanno elaborato soluzioni extra-ordinarie, se non extra-legali, ai problemi della quotidianità: esigenza abitativa e lavorativa, in primis. In tale ottica il problema dell’abusivismo edilizio si configura quale piaga attuale in molte regioni del Meridione, nelle quali ha rappresentato la risposta endemica alla penuria di edilizia residenziale e all’elevato livello dei prezzi per le abitazioni. Fenomeni indotti dalla carente attività di pianificazione, dallo sfruttamento asimmetrico delle rendite immobiliari, da strategie di mera speculazione edilizia; ma, d’altronde, anche tollerati da un’azione amministrativa insufficiente per la pochezza dei mezzi di controllo del territorio, se non in molti casi consenziente per motivi di ordine sociale e di opportunità politica. Ad oggi siamo in presenza di un quadro circostanziale sostanzialmente statico. Gli strumenti di monitoraggio del territorio sono stati fortemente potenziati (si pensi alla tecnologia satellitare) e resi economicamente accessibili. Di contro esistono estese aree impattate dall’edilizia abusiva finalizzata alla realizzazione della prima casa, nelle quali è quantomeno utopistico pensare di adottare azioni di ripristino completo della situazione ex ante. Per quelle zone ove, poi, il fenomeno dell’abusivismo si sia sviluppato in presenza di vincoli ambientali a salvaguardia di beni storico-naturalistici di valenza assoluta, le esigenze di riqualificazione divengono ancora più stringenti. Necessitando di soluzioni complesse rispetto al coacervo degli interessi conflittuali in gioco. All’uopo, nel presente contributo è illustrato un protocollo per la rigenerazione dell’area di salvaguardia istituita, con legge 220/1957 , attorno alle mura dell’antica Paestum, nel Comune di Capaccio (Sa), fortemente contaminata da edilizia abusiva. Tale proposta correla gli strumenti normativi più attuali in ambito urbanistico con un’approfondita lettura economica del problema, giungendo ad una strategia di mediazione imperniata sulla trasparenza del processo, sulla legalità dell’azione e sulla auto sostenibilità finanziaria dell’intervento.
Abusivismo edilizio: ipotesi metodologica di rifunzionalizzazione urbana - un protocollo di carattere urbanistico-finanziario
DE MARE, GIANLUIGI;FASOLINO, ISIDORO;
2010-01-01
Abstract
In un importante convegno internazionale, tenutosi qualche anno fa presso l’Università di Salerno sul tema delle città fortificate all’interno del sistema territoriale, il patrimonio storico-architettonico era descritto come costituito da “emergenze ricche di valori simbolici, integrate nel territorio di cui hanno finito per assumere un ruolo di riferimento, per le quali non appare più proponibile l’originaria funzione (e pertanto) occorre interrogarsi sul come riaccendere le luci tra le loro spesse mura, partendo dalle potenzialità che ad esse derivano dalla singolarità dei rapporti stabiliti nel tempo con i luoghi, con l’uomo e con la memoria”. Parole con le quali, nel manifesto dell’incontro, si sottolineava la rilevanza della verifica di sostenibilità finanziaria ed economica nei progetti finalizzati alla rifunzionalizzazione di siti e ambiti fortemente storicizzati. L’equilibrio di bilancio, da ricercare in fase di investimento e di gestione, rappresenta allora un obiettivo specifico per le iniziative di valorizzazione del patrimonio storico-architettonico e ambientale, peraltro complicato ove le istanze di tutela sono più forti, data la valenza del capitale culturale in gioco. Il pensiero disciplinare in materia ha, come noto, subìto una costante evoluzione negli ultimi decenni, e ciò è testimoniato dalla vasta produzione scientifica disponibile. Di contro, il quadro normativo di riferimento raramente è risultato idoneo alla trasposizione nella realtà dei principi teorici sviluppati. Carenze evidenziatesi sia in termini di tempistica che di contenuto . L’idiosincrasia tra i due ambiti è attribuibile in modo rilevante a problematiche di natura economica. La scarsità di risorse pubbliche ha rappresentato, nei fatti, uno degli ostacoli più seri verso l’investimento in un settore da sempre considerato a basso indice di redditività. Si tratta, allora, di coniugare concretamente istanze di tutela (o di rigenerazione, ove i siti siano fortemente contaminati) con le aspirazioni allo sviluppo di distretti culturali spesso gravati da condizioni socio-economiche pesanti. Nelle quali le comunità locali di frequente hanno elaborato soluzioni extra-ordinarie, se non extra-legali, ai problemi della quotidianità: esigenza abitativa e lavorativa, in primis. In tale ottica il problema dell’abusivismo edilizio si configura quale piaga attuale in molte regioni del Meridione, nelle quali ha rappresentato la risposta endemica alla penuria di edilizia residenziale e all’elevato livello dei prezzi per le abitazioni. Fenomeni indotti dalla carente attività di pianificazione, dallo sfruttamento asimmetrico delle rendite immobiliari, da strategie di mera speculazione edilizia; ma, d’altronde, anche tollerati da un’azione amministrativa insufficiente per la pochezza dei mezzi di controllo del territorio, se non in molti casi consenziente per motivi di ordine sociale e di opportunità politica. Ad oggi siamo in presenza di un quadro circostanziale sostanzialmente statico. Gli strumenti di monitoraggio del territorio sono stati fortemente potenziati (si pensi alla tecnologia satellitare) e resi economicamente accessibili. Di contro esistono estese aree impattate dall’edilizia abusiva finalizzata alla realizzazione della prima casa, nelle quali è quantomeno utopistico pensare di adottare azioni di ripristino completo della situazione ex ante. Per quelle zone ove, poi, il fenomeno dell’abusivismo si sia sviluppato in presenza di vincoli ambientali a salvaguardia di beni storico-naturalistici di valenza assoluta, le esigenze di riqualificazione divengono ancora più stringenti. Necessitando di soluzioni complesse rispetto al coacervo degli interessi conflittuali in gioco. All’uopo, nel presente contributo è illustrato un protocollo per la rigenerazione dell’area di salvaguardia istituita, con legge 220/1957 , attorno alle mura dell’antica Paestum, nel Comune di Capaccio (Sa), fortemente contaminata da edilizia abusiva. Tale proposta correla gli strumenti normativi più attuali in ambito urbanistico con un’approfondita lettura economica del problema, giungendo ad una strategia di mediazione imperniata sulla trasparenza del processo, sulla legalità dell’azione e sulla auto sostenibilità finanziaria dell’intervento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.