Anselmo d'Aosta è diventato celebre per il suo argomento, nel provare l'esistenza di Dio, cosiddetto «ontologico», definendo Dio «ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore». Pensando Dio non possiamo non pensarlo esistente e ne proviamo con ciò stesso l'esistenza, altrimenti non avremmo pensato a «ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore». La teologia, ad eccezione della scuola francescana (Alessandro di Hales, Bonaventura da Bagnoregio, Duns Scoto), ha seguito il rifiuto che Tommaso d'Aquino fece di tale prova. L'argomentazione è fecondissima tra i filosofi (Cartesio, Spinoza, Leibniz, Hegel, ma anche Malebranche, Henry More, Cudworth, Wolff, Baumgarten), che tuttavia la astraggono dal contesto anselmiano di fede, facendone una dimostrazione meramente logica. L'ultimo Schelling invece, e proprio assumendo la profonda critica di Kant all'argomento, riesce ad esprimerne le esigenze originarie. Nel toccare le tappe decisive della formulazione, critica e trasformazione dell'argomento ontologico, questo lavoro segue un filo conduttore discriminante risalente allo stesso Anselmo: la dimostrazione non deve ricorrere all'esperienza sensibile per provare l'esistenza di Dio, eppure non si riduce ad un ragionamento logico, in quanto è nel contesto di fede nel Dio vivente della rivelazione cristiana, che è da collocarsi come sua illuminazione. In questo modo sarà forse ancora udibile l'appello di Anselmo a pensare nel proprio purissimo intimo Dio, ricercandolo nell'ascolto dell'alterità di un tu: «Dunque, o Signore, tu sei non solo ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, ma sei qualcosa di maggiore di quanto possa essere pensato».

L’argomento ontologico. L’esistenza di Dio da Anselmo a Schelling

TOMATIS, Francesco
2010-01-01

Abstract

Anselmo d'Aosta è diventato celebre per il suo argomento, nel provare l'esistenza di Dio, cosiddetto «ontologico», definendo Dio «ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore». Pensando Dio non possiamo non pensarlo esistente e ne proviamo con ciò stesso l'esistenza, altrimenti non avremmo pensato a «ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore». La teologia, ad eccezione della scuola francescana (Alessandro di Hales, Bonaventura da Bagnoregio, Duns Scoto), ha seguito il rifiuto che Tommaso d'Aquino fece di tale prova. L'argomentazione è fecondissima tra i filosofi (Cartesio, Spinoza, Leibniz, Hegel, ma anche Malebranche, Henry More, Cudworth, Wolff, Baumgarten), che tuttavia la astraggono dal contesto anselmiano di fede, facendone una dimostrazione meramente logica. L'ultimo Schelling invece, e proprio assumendo la profonda critica di Kant all'argomento, riesce ad esprimerne le esigenze originarie. Nel toccare le tappe decisive della formulazione, critica e trasformazione dell'argomento ontologico, questo lavoro segue un filo conduttore discriminante risalente allo stesso Anselmo: la dimostrazione non deve ricorrere all'esperienza sensibile per provare l'esistenza di Dio, eppure non si riduce ad un ragionamento logico, in quanto è nel contesto di fede nel Dio vivente della rivelazione cristiana, che è da collocarsi come sua illuminazione. In questo modo sarà forse ancora udibile l'appello di Anselmo a pensare nel proprio purissimo intimo Dio, ricercandolo nell'ascolto dell'alterità di un tu: «Dunque, o Signore, tu sei non solo ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, ma sei qualcosa di maggiore di quanto possa essere pensato».
2010
9788831101110
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/3035905
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