La sentenza annotata riguarda i riflessi sul conto corrente bancario dello spossessamento previsto dall’art. 42, comma 1, legge fallimentare. In virtù di tale norma la sentenza che dichiara il fallimento priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni dando vita ad un fenomeno di cristallizzazione del patrimonio, nel quale sono racchiusi, fra l’altro, tutti i suoi beni - intesi in senso ampio, ivi compresi quelli che si trovano nella disponibilità di terzi - ed i crediti. In particolare, l’attenzione è stata posta sulla sorte delle annotazioni in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento. Sul punto la sentenza della Cassazione commentata ha ritenuto che spetta al giudice del merito «valutare, in base alle prospettazioni delle parti e ai titoli posti a fondamento della richiesta, se sussista il diritto della curatela alla restituzione e quale sia il soggetto legittimato passivo rispetto a tale obbligazione». Premesso che il conto corrente bancario si scioglie per effetto del fallimento del correntista, con la conseguenza che la banca non può e non deve eseguire più operazioni ed è tenuta a versare immediatamente al curatore l’eventuale saldo attivo risultante alla data del fallimento (ovviamente se vi è un saldo passivo esso corrisponde ad un credito della banca da insinuare nel passivo), ciò non esclude che il rapporto prosegua per il breve tempo necessario all’effettiva chiusura del conto e che vengano poste in essere delle operazioni. L’indagine ha chiarito in primis che gli effetti della sentenza nei confronti di qualsiasi soggetto (fallito, organi, creditori) si realizzano dal momento del suo deposito in cancelleria; mentre, quelli verso i terzi, sono ancorati ad una fase successiva, ossia all’annotazione nel Registro delle imprese (artt. 16 e 17 legge fallimentare); in secondo luogo, che assume rilievo la buona fede del terzo, nel senso che, fino a quando la sentenza non è annotata, questi può eccepire la propria buona fede, così riportando il sistema pubblicitario nell’alveo delle regole generali contemplate dall’art. 2193 c.c. - sicchè la buona fede della banca opera per il breve lasso di tempo in cui la sentenza sia stata pubblicata ma non ancora annotata; infine, che difficilmente la banca è in grado di conoscere con immediatezza il deposito della sentenza di fallimento. Oggetto di analisi è stato il ruolo della Banca. Essa è tenuta a consegnare al curatore il saldo attivo al momento della dichiarazione di fallimento e le somme successivamente annotate a credito del conto corrente. Si è evidenziato che è opportuno indagare sulla provenienza di tali somme ulteriori, dato che può accadere che esse non facciano parte del patrimonio indiponibile e, dunque, non si può far indistintamente riferimento a tutte le operazioni attive, alcune, per esempio, potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 46, n. 2, legge fall. Ci si è soffermati, poi, sulla sorte delle spese e delle commissioni nonché degli interessi. In conclusione, si è ritenuto che la banca debba consegnare al curatore il saldo attivo al momento della dichiarazione di fallimento, oltre - previa verifica - le somme successivamente pervenute annotate all’attivo ed agli interessi attivi, detraendo le spese e commissioni di tenuta del conto. Quanto alla colonna passiva del conto corrente, sulla scia di quanto affermato dalla S.C., si è sostenuto che le somme ivi annotate non vanno automaticamente versate dalla banca, essendo necessario un esame caso per caso, che permetta di valutare nel merito le singole operazioni passive. Di qui si è evidenziata l’esigenza di indagare sulla legittimità del pagamento, sul conseguente diritto di credito del fallimento e sull’effettivo legittimato passivo. Attribuire, sempre e comunque, al curatore pure le somme corrispondenti alle operazioni passive, è apparso illegittimo e, in ogni caso, eccessivamente penalizzante per la banca. L’utilità di controllare le operazioni passive emerge anche per un altro profilo: può accadere che nel conto corrente vi siano somme di cui il fallito può liberamente disporre. Ad esempio, il prelevamento da parte di quest’ultimo di somme e l’utilizzo delle stesse per il pagamento di una fornitura di energia elettrica della casa in cui dimora potrebbe essere un’attività da considerare legittima.

Il conto corrente bancario dopo il fallimento.

ROCCO DI TORREPADULA, Nicola
2012-01-01

Abstract

La sentenza annotata riguarda i riflessi sul conto corrente bancario dello spossessamento previsto dall’art. 42, comma 1, legge fallimentare. In virtù di tale norma la sentenza che dichiara il fallimento priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni dando vita ad un fenomeno di cristallizzazione del patrimonio, nel quale sono racchiusi, fra l’altro, tutti i suoi beni - intesi in senso ampio, ivi compresi quelli che si trovano nella disponibilità di terzi - ed i crediti. In particolare, l’attenzione è stata posta sulla sorte delle annotazioni in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento. Sul punto la sentenza della Cassazione commentata ha ritenuto che spetta al giudice del merito «valutare, in base alle prospettazioni delle parti e ai titoli posti a fondamento della richiesta, se sussista il diritto della curatela alla restituzione e quale sia il soggetto legittimato passivo rispetto a tale obbligazione». Premesso che il conto corrente bancario si scioglie per effetto del fallimento del correntista, con la conseguenza che la banca non può e non deve eseguire più operazioni ed è tenuta a versare immediatamente al curatore l’eventuale saldo attivo risultante alla data del fallimento (ovviamente se vi è un saldo passivo esso corrisponde ad un credito della banca da insinuare nel passivo), ciò non esclude che il rapporto prosegua per il breve tempo necessario all’effettiva chiusura del conto e che vengano poste in essere delle operazioni. L’indagine ha chiarito in primis che gli effetti della sentenza nei confronti di qualsiasi soggetto (fallito, organi, creditori) si realizzano dal momento del suo deposito in cancelleria; mentre, quelli verso i terzi, sono ancorati ad una fase successiva, ossia all’annotazione nel Registro delle imprese (artt. 16 e 17 legge fallimentare); in secondo luogo, che assume rilievo la buona fede del terzo, nel senso che, fino a quando la sentenza non è annotata, questi può eccepire la propria buona fede, così riportando il sistema pubblicitario nell’alveo delle regole generali contemplate dall’art. 2193 c.c. - sicchè la buona fede della banca opera per il breve lasso di tempo in cui la sentenza sia stata pubblicata ma non ancora annotata; infine, che difficilmente la banca è in grado di conoscere con immediatezza il deposito della sentenza di fallimento. Oggetto di analisi è stato il ruolo della Banca. Essa è tenuta a consegnare al curatore il saldo attivo al momento della dichiarazione di fallimento e le somme successivamente annotate a credito del conto corrente. Si è evidenziato che è opportuno indagare sulla provenienza di tali somme ulteriori, dato che può accadere che esse non facciano parte del patrimonio indiponibile e, dunque, non si può far indistintamente riferimento a tutte le operazioni attive, alcune, per esempio, potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 46, n. 2, legge fall. Ci si è soffermati, poi, sulla sorte delle spese e delle commissioni nonché degli interessi. In conclusione, si è ritenuto che la banca debba consegnare al curatore il saldo attivo al momento della dichiarazione di fallimento, oltre - previa verifica - le somme successivamente pervenute annotate all’attivo ed agli interessi attivi, detraendo le spese e commissioni di tenuta del conto. Quanto alla colonna passiva del conto corrente, sulla scia di quanto affermato dalla S.C., si è sostenuto che le somme ivi annotate non vanno automaticamente versate dalla banca, essendo necessario un esame caso per caso, che permetta di valutare nel merito le singole operazioni passive. Di qui si è evidenziata l’esigenza di indagare sulla legittimità del pagamento, sul conseguente diritto di credito del fallimento e sull’effettivo legittimato passivo. Attribuire, sempre e comunque, al curatore pure le somme corrispondenti alle operazioni passive, è apparso illegittimo e, in ogni caso, eccessivamente penalizzante per la banca. L’utilità di controllare le operazioni passive emerge anche per un altro profilo: può accadere che nel conto corrente vi siano somme di cui il fallito può liberamente disporre. Ad esempio, il prelevamento da parte di quest’ultimo di somme e l’utilizzo delle stesse per il pagamento di una fornitura di energia elettrica della casa in cui dimora potrebbe essere un’attività da considerare legittima.
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