La locuzione “danno differenziale” non ha origine normativa ed è priva di una definizione autentica. Tale figura di danno esiste in quanto prevista dall’art. 10 D.P.R. n. 1124 del 30.06.1965, che stabilisce che esso è rappresentato dall’ulteriore quota di ristoro, calcolata secondo le regole della responsabilità civile, dovuta all’eventuale insufficienza dell’indennizzo previdenziale erogato dall’Inail. Prima del d. lgs. n. 38/2000 il danno differenziale era rappresentato solo dal danno esclusivamente patrimoniale inerente la capacità lavorativa generica, essendo solo questo l’oggetto dell’assicurazione e, quindi, dell’esonero del datore di lavoro. In precedenza, dunque, il danno biologico non era un danno differenziale, ma un autonomo danno complementare tanto che era sempre ammessa l’azione diretta civilistica anche al di fuori della responsabilità penale del datore di lavoro in quanto il danno biologico per sua natura, appunto, non rientrava nella copertura assicurativa dell’Inail. Dopo il 2000 il quadro di riferimento è cambiato e il sistema dell’assicurazione obbligatoria è stato incentrato proprio sulla lesione all’integrità psicofisica. Infatti l’art. 13, comma 1, del decreto legislativo 38/2000, il quale ha ricondotto il danno biologico nella copertura assicurativa obbligatoria, testualmente recita “In attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato”. Sulla scorta di tale definizione, quindi, la giurisprudenza ha con più sentenze accolto l’indirizzo per cui l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell’azione risarcitoria di quest’ultimo al cosiddetto danno differenziale non si estende al danno alla salute o biologico e al danno morale di cui all’art. 2059, cod. civ., con conseguente diritto del lavoratore al risarcimento integrale di tali voci di danno, ove sussistano profili di responsabilità del datore medesimo. In tale contesto si pone la questione della risarcibilità del danno differenziale a contenuto biologico, che, venendo meno l’esonero, ma cambiando il sistema di responsabilità, vede mutare i suoi criteri di liquidazione.
INFORTUNI SUL LAVORO E DANNO DIFFERENZIALE PROFILI DI RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO
CAPECE, Marco
2012-01-01
Abstract
La locuzione “danno differenziale” non ha origine normativa ed è priva di una definizione autentica. Tale figura di danno esiste in quanto prevista dall’art. 10 D.P.R. n. 1124 del 30.06.1965, che stabilisce che esso è rappresentato dall’ulteriore quota di ristoro, calcolata secondo le regole della responsabilità civile, dovuta all’eventuale insufficienza dell’indennizzo previdenziale erogato dall’Inail. Prima del d. lgs. n. 38/2000 il danno differenziale era rappresentato solo dal danno esclusivamente patrimoniale inerente la capacità lavorativa generica, essendo solo questo l’oggetto dell’assicurazione e, quindi, dell’esonero del datore di lavoro. In precedenza, dunque, il danno biologico non era un danno differenziale, ma un autonomo danno complementare tanto che era sempre ammessa l’azione diretta civilistica anche al di fuori della responsabilità penale del datore di lavoro in quanto il danno biologico per sua natura, appunto, non rientrava nella copertura assicurativa dell’Inail. Dopo il 2000 il quadro di riferimento è cambiato e il sistema dell’assicurazione obbligatoria è stato incentrato proprio sulla lesione all’integrità psicofisica. Infatti l’art. 13, comma 1, del decreto legislativo 38/2000, il quale ha ricondotto il danno biologico nella copertura assicurativa obbligatoria, testualmente recita “In attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato”. Sulla scorta di tale definizione, quindi, la giurisprudenza ha con più sentenze accolto l’indirizzo per cui l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell’azione risarcitoria di quest’ultimo al cosiddetto danno differenziale non si estende al danno alla salute o biologico e al danno morale di cui all’art. 2059, cod. civ., con conseguente diritto del lavoratore al risarcimento integrale di tali voci di danno, ove sussistano profili di responsabilità del datore medesimo. In tale contesto si pone la questione della risarcibilità del danno differenziale a contenuto biologico, che, venendo meno l’esonero, ma cambiando il sistema di responsabilità, vede mutare i suoi criteri di liquidazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.