Le sentenze annotate affrontano il tema della sorte del debito derivante dall’ azione revocatoria fallimentare in caso di cessione di azienda bancaria. Individuare, nel giudizio revocatorio instaurato dal curatore, il legittimato passivo nei cui confronti far valere la propria pretesa si rivela spesso un’operazione estremamente complessa per i terzi. In caso di esercizio dell’azione revocatoria fallimentare successivamente alla cessione dell’azienda, le alternative possibili sono le seguenti: 1) legittimata passivamente è la sola banca cedente; 2) legittimate passivamente sono sia la banca cedente che quella cessionaria; 3) unica legittimata passivamente, trascorso il trimestre degli adempimenti pubblicitari, è la banca cessionaria ex art. 58 T.u.b. Le soluzioni a cui sono giunti i giudici nelle pronunce in commento, seppur in relazione allo stesso istituto bancario e alle stesse vicende di cessione d’azienda, sono discordanti tra loro. La prima decisione della Corte d’Appello di Napoli, ha escluso la legittimazione passiva del cessionario ed ha applicato la disposizione di carattere generale in tema di cessione d’azienda ricavabile dal codice civile. La seconda decisione, sempre della Corte d’Appello di Napoli, perviene, invece, ad una conclusione di segno opposto, riconoscendo la sussistenza della legittimazione di entrambe le banche convenute, sia cedente che cessionaria, pur utilizzando lo stesso percorso argomentativo. Se è evidente che il rischio di soccombenza in un giudizio di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente non si trasferisce automaticamente a causa della cessione dell’azienda, esso potrà costituire oggetto di un accollo o di un negozio sul debito futuro. Sarà, quindi, necessaria una apposita volontà diretta a realizzare tale trasferimento del rischio. L’ostacolo a tale conclusione è rappresentato dalla difficoltà di determinazione dell’oggetto, difficoltà superabile in virtù della recente pronuncia della Cassazione che ha chiarito come i debiti futuri derivanti da azioni revocatorie possono essere trasferiti se all’atto della stipula della convenzione erano identificabili, in quanto risultanti dalla contabilità dell’azienda ceduta. Si deve allora concludere ritenendo che l’iscrizione dei debiti nei libri contabili obbligatori abbia efficacia anche nei confronti dei terzi, come il fallimento. L’iscrizione rappresenterebbe, quindi, l’elemento costitutivo della responsabilità dell’acquirente per i debiti inerenti all’azienda stessa. Tale conclusione solleva più di un interrogativo in relazione alla possibilità di determinare, al momento dell’atto di cessione ex art. 1346 c.c., le passività conseguenti all’esercizio di azioni revocatorie fallimentari, se, cioè, gli atti revocabili possano essere individuati effettivamente ex ante. Vi è poi da considerare l’ipotesi in cui il complesso produttivo venga ceduto privo di scritture contabili, oppure con contabilità minimamente attendibili, oppure ancora con scritture contabili nel complesso attendibili, ma che contengano qualche episodica omissione. L’inesistenza dei libri contabili, dovuta a qualsiasi ragione, compresa la loro non obbligatorietà per lo specifico tipo di impresa, rende impossibile l’elemento costitutivo della responsabilità del cessionario per i debiti relativi all’azienda e conseguentemente preclude il sorgere di tale responsabilità. I rilievi formulati non sembrano peraltro potersi risolvere grazie ad una previsione che ricomprenda espressamente nell’oggetto del trasferimento tali rischi. I rilievi formulati non sembrano peraltro potersi risolvere grazie ad una previsione che ricomprenda espressamente nell’oggetto del trasferimento tali rischi. La ratio decidendi della seconda decisione è fondata invece proprio sulla lettura della convenzione di conferimento dalla quale emergerebbe come i rischi derivanti da azione revocatorie fallimentari non facciano parte di quei cespiti che le parti hanno sottratto al conferimento. Dunque, in assenza di una specifica previsione di esclusione, la Corte ha ritenuto di poter includere nel conferimento anche la situazione di soggezione da cui può sorgere il debito da revocatoria. E’ opportuno precisare che la prima decisione della Corte d’Appello di Napoli ha invece ritenuto che per trasferire i debiti connessi all’esperimento di azioni revocatorie occorre una specifica pattuizione tra le parti che, nel caso in esame, non sembra sia stata posta in essere. Per quel che riguarda gli effetti del trasferimento non bisogna confondere l’efficacia inter partes del patto di cessione concluso tra la banca cedente e quella cessionaria e l’efficacia nei confronti di quanti, come il fallimento, siano terzi rispetto agli accordi intervenuti tra le parti del contratto di cessione. L’eventuale contenuto dell’accordo non è, in conclusione, opponibile al fallimento che non è stato creditore del cedente in epoca antecedente alla cessione e mai diverrà creditore del cessionario. Il debito che non è cedibile perché non è venuto ancora ad esistenza rimarrà, quindi, in capo all’istituto di credito cedente, stante la non qualificabilità del fallimento quale creditore ceduto, come soggetto cioè titolare di un credito attuale e immediatamente individuabile.

Cessione d'azienda bancaria e legittimazione passiva in relazione a debiti da revocatoria fallimentare.

ATTANASIO, Francesca
2013-01-01

Abstract

Le sentenze annotate affrontano il tema della sorte del debito derivante dall’ azione revocatoria fallimentare in caso di cessione di azienda bancaria. Individuare, nel giudizio revocatorio instaurato dal curatore, il legittimato passivo nei cui confronti far valere la propria pretesa si rivela spesso un’operazione estremamente complessa per i terzi. In caso di esercizio dell’azione revocatoria fallimentare successivamente alla cessione dell’azienda, le alternative possibili sono le seguenti: 1) legittimata passivamente è la sola banca cedente; 2) legittimate passivamente sono sia la banca cedente che quella cessionaria; 3) unica legittimata passivamente, trascorso il trimestre degli adempimenti pubblicitari, è la banca cessionaria ex art. 58 T.u.b. Le soluzioni a cui sono giunti i giudici nelle pronunce in commento, seppur in relazione allo stesso istituto bancario e alle stesse vicende di cessione d’azienda, sono discordanti tra loro. La prima decisione della Corte d’Appello di Napoli, ha escluso la legittimazione passiva del cessionario ed ha applicato la disposizione di carattere generale in tema di cessione d’azienda ricavabile dal codice civile. La seconda decisione, sempre della Corte d’Appello di Napoli, perviene, invece, ad una conclusione di segno opposto, riconoscendo la sussistenza della legittimazione di entrambe le banche convenute, sia cedente che cessionaria, pur utilizzando lo stesso percorso argomentativo. Se è evidente che il rischio di soccombenza in un giudizio di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente non si trasferisce automaticamente a causa della cessione dell’azienda, esso potrà costituire oggetto di un accollo o di un negozio sul debito futuro. Sarà, quindi, necessaria una apposita volontà diretta a realizzare tale trasferimento del rischio. L’ostacolo a tale conclusione è rappresentato dalla difficoltà di determinazione dell’oggetto, difficoltà superabile in virtù della recente pronuncia della Cassazione che ha chiarito come i debiti futuri derivanti da azioni revocatorie possono essere trasferiti se all’atto della stipula della convenzione erano identificabili, in quanto risultanti dalla contabilità dell’azienda ceduta. Si deve allora concludere ritenendo che l’iscrizione dei debiti nei libri contabili obbligatori abbia efficacia anche nei confronti dei terzi, come il fallimento. L’iscrizione rappresenterebbe, quindi, l’elemento costitutivo della responsabilità dell’acquirente per i debiti inerenti all’azienda stessa. Tale conclusione solleva più di un interrogativo in relazione alla possibilità di determinare, al momento dell’atto di cessione ex art. 1346 c.c., le passività conseguenti all’esercizio di azioni revocatorie fallimentari, se, cioè, gli atti revocabili possano essere individuati effettivamente ex ante. Vi è poi da considerare l’ipotesi in cui il complesso produttivo venga ceduto privo di scritture contabili, oppure con contabilità minimamente attendibili, oppure ancora con scritture contabili nel complesso attendibili, ma che contengano qualche episodica omissione. L’inesistenza dei libri contabili, dovuta a qualsiasi ragione, compresa la loro non obbligatorietà per lo specifico tipo di impresa, rende impossibile l’elemento costitutivo della responsabilità del cessionario per i debiti relativi all’azienda e conseguentemente preclude il sorgere di tale responsabilità. I rilievi formulati non sembrano peraltro potersi risolvere grazie ad una previsione che ricomprenda espressamente nell’oggetto del trasferimento tali rischi. I rilievi formulati non sembrano peraltro potersi risolvere grazie ad una previsione che ricomprenda espressamente nell’oggetto del trasferimento tali rischi. La ratio decidendi della seconda decisione è fondata invece proprio sulla lettura della convenzione di conferimento dalla quale emergerebbe come i rischi derivanti da azione revocatorie fallimentari non facciano parte di quei cespiti che le parti hanno sottratto al conferimento. Dunque, in assenza di una specifica previsione di esclusione, la Corte ha ritenuto di poter includere nel conferimento anche la situazione di soggezione da cui può sorgere il debito da revocatoria. E’ opportuno precisare che la prima decisione della Corte d’Appello di Napoli ha invece ritenuto che per trasferire i debiti connessi all’esperimento di azioni revocatorie occorre una specifica pattuizione tra le parti che, nel caso in esame, non sembra sia stata posta in essere. Per quel che riguarda gli effetti del trasferimento non bisogna confondere l’efficacia inter partes del patto di cessione concluso tra la banca cedente e quella cessionaria e l’efficacia nei confronti di quanti, come il fallimento, siano terzi rispetto agli accordi intervenuti tra le parti del contratto di cessione. L’eventuale contenuto dell’accordo non è, in conclusione, opponibile al fallimento che non è stato creditore del cedente in epoca antecedente alla cessione e mai diverrà creditore del cessionario. Il debito che non è cedibile perché non è venuto ancora ad esistenza rimarrà, quindi, in capo all’istituto di credito cedente, stante la non qualificabilità del fallimento quale creditore ceduto, come soggetto cioè titolare di un credito attuale e immediatamente individuabile.
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