Neverland; or maybe one which is or which, however, should be; children’s room, the room of the boys, the space of the game never tired, of the story interrupted and rediscovered, of tears, enthusiasm and whispers, becomes a place of need – never vanished – of “happy enchantment”; an enchantment that you feel the need, which is felt alienation than drifts of different and varied nature: on the one hand children lose fingers and eyes on display attractive and colorful as empty and illusory; the other the niche of a referential intellighenzia that runs the risk, extremely palpable in the troubled times in which we live, of no longer grasp the stimmung the context in which it is located, of not being able to intercept a flow generation incapable of shorter stops, let alone the long – and ‘educated’ – thoughtful pauses. The rediscovery of a boyish space, in which to find the lost contact with the charm that we should – again – knowing how to tell, is wedged here, between the ability to steal another man’s curious look at the puppies, and the awareness of the need – always – lead a path of scientific rigor and cultural breath never short. An academic breath, however, too often stopped at the superficiality of forced fence; became a slave to the categorization of genres and currents, classifications and simplistic hierarchies implicitly (if not explicitly) derived from unconditional acceptances criticism fashionable, forget that accession to the current dominant fact is revealed – often – which cancellation of critical thinking more careful and aware and, too frequently, which move away from some of the ‘regions’ of living more significant, from an artistic-literary and existential.

L’isola che non c’è; o magari quella che c’è o che, comunque, dovrebbe esserci; la camera dei bambini, la stanza dei ragazzi, lo spazio del gioco mai stanco, del racconto interrotto e riscoperto, di pianti, entusiasmi e bisbigli, si fa luogo del bisogno – mai sopito – di ‘felice incantamento’; un incantamento di cui si sente necessità, di cui si avverte lo straniamento rispetto a derive di diversa e variegata natura: da un lato fanciulli a perdere dita e pupille su display accattivanti e colorati quanto vuoti e illusori; dall’altro la nicchia autoreferenziale di una intellighenzia che corre il rischio, quanto mai palpabile nei difficili tempi in cui viviamo, di non cogliere più la stimmung del contesto in cui si trova, di non riuscire più ad intercettare un flusso generazionale incapace delle più brevi fermate, figurarsi delle lunghe – e ‘colte’ – pause riflessive. La riscoperta di uno spazio fanciullo, in cui ritrovare il contatto perduto coll’incanto che dovremmo – ancora – saperci raccontare, si incunea qui, tra la possibilità di rubare un altro sguardo curioso ai cuccioli d’uomo, e la consapevolezza di dover – sempre – condurre un percorso di rigore scientifico e culturale dal respiro mai corto. Un respiro accademico che, però, troppo spesso si è fermato alla superficialità della forzata recinzione; si è fatto schiavo della categorizzazione di generi e correnti, di classificazioni e semplicistiche gerarchizzazioni implicitamente (quando non esplicitamente) derivate da adesioni incondizionate alla critica alla moda, dimentichi che l’adesione alla corrente dominante di fatto si rivela – spesso – quale annullamento del pensiero critico più attento e consapevole e, troppo di frequente, quale allontanamento da alcune delle ‘regioni’ del vivere più significative, a livello artistico-letterario ed esistenziale.

Del necessario incanto. Nota su letteratura, arti, infanzia e meraviglia.

ACONE, LEONARDO
2014-01-01

Abstract

Neverland; or maybe one which is or which, however, should be; children’s room, the room of the boys, the space of the game never tired, of the story interrupted and rediscovered, of tears, enthusiasm and whispers, becomes a place of need – never vanished – of “happy enchantment”; an enchantment that you feel the need, which is felt alienation than drifts of different and varied nature: on the one hand children lose fingers and eyes on display attractive and colorful as empty and illusory; the other the niche of a referential intellighenzia that runs the risk, extremely palpable in the troubled times in which we live, of no longer grasp the stimmung the context in which it is located, of not being able to intercept a flow generation incapable of shorter stops, let alone the long – and ‘educated’ – thoughtful pauses. The rediscovery of a boyish space, in which to find the lost contact with the charm that we should – again – knowing how to tell, is wedged here, between the ability to steal another man’s curious look at the puppies, and the awareness of the need – always – lead a path of scientific rigor and cultural breath never short. An academic breath, however, too often stopped at the superficiality of forced fence; became a slave to the categorization of genres and currents, classifications and simplistic hierarchies implicitly (if not explicitly) derived from unconditional acceptances criticism fashionable, forget that accession to the current dominant fact is revealed – often – which cancellation of critical thinking more careful and aware and, too frequently, which move away from some of the ‘regions’ of living more significant, from an artistic-literary and existential.
2014
L’isola che non c’è; o magari quella che c’è o che, comunque, dovrebbe esserci; la camera dei bambini, la stanza dei ragazzi, lo spazio del gioco mai stanco, del racconto interrotto e riscoperto, di pianti, entusiasmi e bisbigli, si fa luogo del bisogno – mai sopito – di ‘felice incantamento’; un incantamento di cui si sente necessità, di cui si avverte lo straniamento rispetto a derive di diversa e variegata natura: da un lato fanciulli a perdere dita e pupille su display accattivanti e colorati quanto vuoti e illusori; dall’altro la nicchia autoreferenziale di una intellighenzia che corre il rischio, quanto mai palpabile nei difficili tempi in cui viviamo, di non cogliere più la stimmung del contesto in cui si trova, di non riuscire più ad intercettare un flusso generazionale incapace delle più brevi fermate, figurarsi delle lunghe – e ‘colte’ – pause riflessive. La riscoperta di uno spazio fanciullo, in cui ritrovare il contatto perduto coll’incanto che dovremmo – ancora – saperci raccontare, si incunea qui, tra la possibilità di rubare un altro sguardo curioso ai cuccioli d’uomo, e la consapevolezza di dover – sempre – condurre un percorso di rigore scientifico e culturale dal respiro mai corto. Un respiro accademico che, però, troppo spesso si è fermato alla superficialità della forzata recinzione; si è fatto schiavo della categorizzazione di generi e correnti, di classificazioni e semplicistiche gerarchizzazioni implicitamente (quando non esplicitamente) derivate da adesioni incondizionate alla critica alla moda, dimentichi che l’adesione alla corrente dominante di fatto si rivela – spesso – quale annullamento del pensiero critico più attento e consapevole e, troppo di frequente, quale allontanamento da alcune delle ‘regioni’ del vivere più significative, a livello artistico-letterario ed esistenziale.
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