In our country, like in other ones in the European Union, the issue of restorative justice has recently drawn public attention; it may be defined as the possible solution to a crime that involves the offender and – directly or indirectly – the community and/or the victim, aiming to repair the effects of the offense. Defined as “any process whereby the victim and the offender are enabled, if they freely consent, to participate actively in the resolution of matters arising from the crime through the help of an impartial third party (mediator)” (Appendix to Recommendation No. R (99) 19 of the Council of Europe), mediation is one of the prime examples of restorative justice. Presently, in the Italian criminal system, despite penal mediation having been addressed to juvenile issues, to offenses prosecutable on the action of the injured party within the competence of the Justice of peace, and recently with the extension of the “probation” system to the adult-justice, considered its features and the guarantees embedded in it, it seems hard to identify a concrete field where to implement mediation for several reasons. In the event that a form of mediation in Italian criminal law were hypothesized, the power to compensate a victim would be no longer assigned to the Judge – who represents the highest expression of guarantee – but to a private citizen who, although impartial, would lack the function of the jurisdiction. Similarly, how to conciliate a form of mediation with the basic principles of the obligatoriness of criminal action (art. 112 Cost) and the presumption of innocence (art. 27 Cost)? In this matter, we must not give up the jurisdiction, nor renounce the mediation, while it could be assumed the strengthening of the first through the implementation of the second. Only the use of qualified personnel in the exercise of judicial functions, to facilitate the creation of controlled paths of dialogue between perpetrators and victims, we could realize the rehabilitative purpose of the punishment that our fundamental Charter designates as its primary goal, without sacrificing the guarantees established by our Constitution and representing unfailing achievements of a legal civilization.

Nel nostro Paese, come in altri dell’Unione Europea, si è registrata negli ultimi anni una forte attenzione per la giustizia riparativa, la quale può definirsi come una possibile risposta al crimen che coinvolge il suo autore e - direttamente o indirettamente - la comunità e/o la vittima, nella ricerca di possibili soluzioni agli effetti dell’illecito e in una prospettiva concreta volta alla riparazione delle sue nefaste conseguenze. Tra le forme più emblematiche di giustizia riparativa si colloca la mediazione, che la Raccomandazione 19(99) del Consiglio d’Europa definisce come « procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato con l’aiuto di un terzo indipendente (mediatore) ». Allo stato, nel sistema processuale italiano la mediazione penale ha trovato peculiare applicazione in ambito minorile, in relazione ai reati procedibili a querela di parte di competenza del giudice di pace e, per certi versi, con la recentissima estensione dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova anche agli adulti. Ciononostante, tenuto conto delle caratteristiche di detti micro-sistemi - come pure del largo impianto di garanzie che costituisce corredo essenziale dell’ordinamento processuale penale -, risulta difficile, per diverse ragioni, ipotizzare spazi concreti e duraturi per una mediazione penale propriamente detta. In particolare, l’esempio della “nuova” messa alla prova per gli adulti è significativo: da un lato è possibile evidenziare come il legislatore, pur proiettando nella disciplina processual-penalistica la mediazione, non precisi cosa essa sia e come vada realizzata, rimettendo al giudice la tale determinazione concreta nell’ambito di un preoccupante “vuoto dei fini”, dall’altro, poi, è pure chiaro che l’elevato numero di questioni di legittimità costituzionale che sono state al riguardo sollevate dimostra, quantomeno prima facie, che il nostro sistema è piuttosto riottoso alla deviazione dal modulo giurisdizionale ordinario, soprattutto in virtù dell’indisponibilità delle garanzie che la giurisdizione stessa offre. Se ciò è vero, poi, è evidente che laddove si ipotizzasse una qualche forma di mediazione penale “pura” (cioè sul modello di quella prevista per il diritto civile), ancor maggiori e forse insormontabili sarebbero le criticità emergenti, atteso che, ad esempio, il potere di risarcire una vittima sarebbe rimesso non più al giudice, somma espressione della guarentigia della giurisdizione, ma ad un privato che, seppure terzo ed imparziale, sarebbe sempre privo della funzione della iurisdictio. Va pure detto, poi, che molto spesso è più che legittimo il sospetto che gli interventi volti a incentivare il ricorso a condotte lato sensu riparatorie perseguano in via precipua un pragmatico fine deflattivo, più che di reale composizione dei conflitti o della loro “deflagrazione” in sede giudiziaria. D’altro canto, tuttavia, anche la normativa comunitaria e sovranazionale impone di valorizzare appieno la vittima, dotandosi di adeguati e specifici strumenti di tutela. E dunque, in ossequio al sempre valido brocardo in medio stat virtus, non si può e non si deve né abiurare la giurisdizione, né abiurare la mediazione, ma, anzi, si può ipotizzare il rafforzamento della prima attraverso l’implementazione della seconda. Mediante il coinvolgimento attivo nell’esercizio delle funzioni giudiziarie di personale dotato di competenze tecniche che agevoli la creazione di percorsi controllati di dialogo tra colpevoli e vittime, infatti, si può ipotizzare un più agile conseguimento di quella rieducazione che la nostra Carta fondamentale designa quale fine primario cui le pene devono tendere, senza essere costretti a rinunciare a quelle garanzie che la Carta stessa detta e che rappresentano indefettibili conquiste di civiltà.

PROSPETTIVE DI MEDIAZIONE PENALE IN ITALIA

DALIA, Gaspare
2016-01-01

Abstract

In our country, like in other ones in the European Union, the issue of restorative justice has recently drawn public attention; it may be defined as the possible solution to a crime that involves the offender and – directly or indirectly – the community and/or the victim, aiming to repair the effects of the offense. Defined as “any process whereby the victim and the offender are enabled, if they freely consent, to participate actively in the resolution of matters arising from the crime through the help of an impartial third party (mediator)” (Appendix to Recommendation No. R (99) 19 of the Council of Europe), mediation is one of the prime examples of restorative justice. Presently, in the Italian criminal system, despite penal mediation having been addressed to juvenile issues, to offenses prosecutable on the action of the injured party within the competence of the Justice of peace, and recently with the extension of the “probation” system to the adult-justice, considered its features and the guarantees embedded in it, it seems hard to identify a concrete field where to implement mediation for several reasons. In the event that a form of mediation in Italian criminal law were hypothesized, the power to compensate a victim would be no longer assigned to the Judge – who represents the highest expression of guarantee – but to a private citizen who, although impartial, would lack the function of the jurisdiction. Similarly, how to conciliate a form of mediation with the basic principles of the obligatoriness of criminal action (art. 112 Cost) and the presumption of innocence (art. 27 Cost)? In this matter, we must not give up the jurisdiction, nor renounce the mediation, while it could be assumed the strengthening of the first through the implementation of the second. Only the use of qualified personnel in the exercise of judicial functions, to facilitate the creation of controlled paths of dialogue between perpetrators and victims, we could realize the rehabilitative purpose of the punishment that our fundamental Charter designates as its primary goal, without sacrificing the guarantees established by our Constitution and representing unfailing achievements of a legal civilization.
2016
Nel nostro Paese, come in altri dell’Unione Europea, si è registrata negli ultimi anni una forte attenzione per la giustizia riparativa, la quale può definirsi come una possibile risposta al crimen che coinvolge il suo autore e - direttamente o indirettamente - la comunità e/o la vittima, nella ricerca di possibili soluzioni agli effetti dell’illecito e in una prospettiva concreta volta alla riparazione delle sue nefaste conseguenze. Tra le forme più emblematiche di giustizia riparativa si colloca la mediazione, che la Raccomandazione 19(99) del Consiglio d’Europa definisce come « procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato con l’aiuto di un terzo indipendente (mediatore) ». Allo stato, nel sistema processuale italiano la mediazione penale ha trovato peculiare applicazione in ambito minorile, in relazione ai reati procedibili a querela di parte di competenza del giudice di pace e, per certi versi, con la recentissima estensione dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova anche agli adulti. Ciononostante, tenuto conto delle caratteristiche di detti micro-sistemi - come pure del largo impianto di garanzie che costituisce corredo essenziale dell’ordinamento processuale penale -, risulta difficile, per diverse ragioni, ipotizzare spazi concreti e duraturi per una mediazione penale propriamente detta. In particolare, l’esempio della “nuova” messa alla prova per gli adulti è significativo: da un lato è possibile evidenziare come il legislatore, pur proiettando nella disciplina processual-penalistica la mediazione, non precisi cosa essa sia e come vada realizzata, rimettendo al giudice la tale determinazione concreta nell’ambito di un preoccupante “vuoto dei fini”, dall’altro, poi, è pure chiaro che l’elevato numero di questioni di legittimità costituzionale che sono state al riguardo sollevate dimostra, quantomeno prima facie, che il nostro sistema è piuttosto riottoso alla deviazione dal modulo giurisdizionale ordinario, soprattutto in virtù dell’indisponibilità delle garanzie che la giurisdizione stessa offre. Se ciò è vero, poi, è evidente che laddove si ipotizzasse una qualche forma di mediazione penale “pura” (cioè sul modello di quella prevista per il diritto civile), ancor maggiori e forse insormontabili sarebbero le criticità emergenti, atteso che, ad esempio, il potere di risarcire una vittima sarebbe rimesso non più al giudice, somma espressione della guarentigia della giurisdizione, ma ad un privato che, seppure terzo ed imparziale, sarebbe sempre privo della funzione della iurisdictio. Va pure detto, poi, che molto spesso è più che legittimo il sospetto che gli interventi volti a incentivare il ricorso a condotte lato sensu riparatorie perseguano in via precipua un pragmatico fine deflattivo, più che di reale composizione dei conflitti o della loro “deflagrazione” in sede giudiziaria. D’altro canto, tuttavia, anche la normativa comunitaria e sovranazionale impone di valorizzare appieno la vittima, dotandosi di adeguati e specifici strumenti di tutela. E dunque, in ossequio al sempre valido brocardo in medio stat virtus, non si può e non si deve né abiurare la giurisdizione, né abiurare la mediazione, ma, anzi, si può ipotizzare il rafforzamento della prima attraverso l’implementazione della seconda. Mediante il coinvolgimento attivo nell’esercizio delle funzioni giudiziarie di personale dotato di competenze tecniche che agevoli la creazione di percorsi controllati di dialogo tra colpevoli e vittime, infatti, si può ipotizzare un più agile conseguimento di quella rieducazione che la nostra Carta fondamentale designa quale fine primario cui le pene devono tendere, senza essere costretti a rinunciare a quelle garanzie che la Carta stessa detta e che rappresentano indefettibili conquiste di civiltà.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4667416
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