Foscolo ha una presenza forte nel percorso intellettuale del De Sanctis, una presenza che si fa sempre più evidente a partire dalle lezioni della prima e della seconda scuola al paragrafo sul Foscolo nell’ articolo sul Gervinus, fino alla stesura quasi parallela del profilo foscoliano per la “Nuova Antologia” e alle pagine della Storia. Il De Sanctis parte con un giudizio severo sull’Ortis, visto come il romanzo dello sconforto e della disperazione, povero nell' invenzione, falso nella forma e nei caratteri, manifestando subito pieno consenso per in Sepolcri, esempio ‘altissimo’ di autentica poesia civile. Ma proprio nel nome dell’Ortis il critico matura una valutazione più serena del Foscolo attenuando le iniziali riserve, e riconoscendo al romanzo un valore preciso nel disegno complessivo dell’opera. De Sanctis sistema ora i tasselli nel grande mosaico della Storia, riscrivendo, adattando e spesso sintetizzando materiali già elaborati: si trattava di collocare autori e opere nel grande quadro esemplificativo degli 'uomini nuovi', formatisi nel rovello della storia e che dalla storia avevano tratto linfa o sostanza vitale per la loro scrittura. Il Foscolo entra così nel disegno compositivo della Storia con una forza nuova. De Sanctis ne disegna la parabola fissando esemplarmente alcuni momenti centrali nello sviluppo della sua opera: dalla passione giovanile di cui è prova l'ode a Napoleone liberatore, al disinganno, magnificamente esemplificato dall'Ortis, alla 'guarigione', con le splendide odi neoclassiche, fino alla piena maturazione dei Sepolcri, che costituivano per lui l'affermazione della coscienza rifatta, dell'’uomo nuovo’, esempio di una poesia restituita al proprio mandato civile. Mentre si riconferma il giudizio fortemente riduttivo sulle Grazie di cui il De Sanctis nega, ora con decisione, ogni valore poetico. Un giudizio persistente nel clima risorgimentale, che avrà lunga vita nella storia della critica foscoliana; le Grazie saranno poi riabilitate, a partire da Croce, solo dalla critica novecentesca. Ma è proprio nel giudizio sull’Ortis, presente nella Storia, e nella più articolata lettura dell’opera foscoliana, che si può leggere in qualche modo una sorta di inconsapevole identificazione. In realtà Foscolo, e soprattutto il Foscolo esule, rappresenta per De Sanctis quasi un alter ego, la stessa tragedia di Jacopo è vista da lui come la tragedia della modernità; l’Ortis, espressione di una sofferenza, di una malattia dello spirito, individuale e storica, ben rappresenta per lui il senso di smarrimento, il disagio della coscienza moderna di fronte alle frustrazioni della storia. L’attitudine del De Sanctis a istaurare una sorta di dialogo con i suoi autori, nella ricerca di sottili convergenze autobiografiche, diventerà una lezione capitale per il giovane Debenedetti, incline ad esaltare quel rapporto osmotico tra critica e autobiografia che sarà al centro del suo metodo critico.

Nota in margine al Foscolo del De Sanctis

Montanile, Milena
2017-01-01

Abstract

Foscolo ha una presenza forte nel percorso intellettuale del De Sanctis, una presenza che si fa sempre più evidente a partire dalle lezioni della prima e della seconda scuola al paragrafo sul Foscolo nell’ articolo sul Gervinus, fino alla stesura quasi parallela del profilo foscoliano per la “Nuova Antologia” e alle pagine della Storia. Il De Sanctis parte con un giudizio severo sull’Ortis, visto come il romanzo dello sconforto e della disperazione, povero nell' invenzione, falso nella forma e nei caratteri, manifestando subito pieno consenso per in Sepolcri, esempio ‘altissimo’ di autentica poesia civile. Ma proprio nel nome dell’Ortis il critico matura una valutazione più serena del Foscolo attenuando le iniziali riserve, e riconoscendo al romanzo un valore preciso nel disegno complessivo dell’opera. De Sanctis sistema ora i tasselli nel grande mosaico della Storia, riscrivendo, adattando e spesso sintetizzando materiali già elaborati: si trattava di collocare autori e opere nel grande quadro esemplificativo degli 'uomini nuovi', formatisi nel rovello della storia e che dalla storia avevano tratto linfa o sostanza vitale per la loro scrittura. Il Foscolo entra così nel disegno compositivo della Storia con una forza nuova. De Sanctis ne disegna la parabola fissando esemplarmente alcuni momenti centrali nello sviluppo della sua opera: dalla passione giovanile di cui è prova l'ode a Napoleone liberatore, al disinganno, magnificamente esemplificato dall'Ortis, alla 'guarigione', con le splendide odi neoclassiche, fino alla piena maturazione dei Sepolcri, che costituivano per lui l'affermazione della coscienza rifatta, dell'’uomo nuovo’, esempio di una poesia restituita al proprio mandato civile. Mentre si riconferma il giudizio fortemente riduttivo sulle Grazie di cui il De Sanctis nega, ora con decisione, ogni valore poetico. Un giudizio persistente nel clima risorgimentale, che avrà lunga vita nella storia della critica foscoliana; le Grazie saranno poi riabilitate, a partire da Croce, solo dalla critica novecentesca. Ma è proprio nel giudizio sull’Ortis, presente nella Storia, e nella più articolata lettura dell’opera foscoliana, che si può leggere in qualche modo una sorta di inconsapevole identificazione. In realtà Foscolo, e soprattutto il Foscolo esule, rappresenta per De Sanctis quasi un alter ego, la stessa tragedia di Jacopo è vista da lui come la tragedia della modernità; l’Ortis, espressione di una sofferenza, di una malattia dello spirito, individuale e storica, ben rappresenta per lui il senso di smarrimento, il disagio della coscienza moderna di fronte alle frustrazioni della storia. L’attitudine del De Sanctis a istaurare una sorta di dialogo con i suoi autori, nella ricerca di sottili convergenze autobiografiche, diventerà una lezione capitale per il giovane Debenedetti, incline ad esaltare quel rapporto osmotico tra critica e autobiografia che sarà al centro del suo metodo critico.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4704875
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