Nonostante sia largamente noto il ruolo centrale svolto al Concilio di Trento dall’agostiniano napoletano Girolamo Seripando (1492-1563), in quanto teologo della giustificazione e legato pontificio, una parte consistente della sua opera filosofico-teologica attende ancora di essere riconosciuta nel suo pieno valore. Scarsa attenzione, in particolare, è stata sinora riservata ai frutti della sua prima fase di attività, ossia al vasto corpus di quaestiones e al trattato De summo bono, la cui stesura copre un arco di tempo che va dai primi anni Venti alla seconda metà degli anni Trenta del Cinquecento. Questi scritti restituiscono il profilo di un epigono della tradizione umanistica napoletana e di un fautore di una forma eclettica di platonismo, orientato a tracciare, sulla base del modello elaborato da Marsilio Ficino e da Egidio da Viterbo, una linea di continuità tra la doctrina gentilium e la sapientia christiana. Sono opere, come notava Hubert Jedin, che anticipano di alcuni anni la philosophia perennis di Agostino Steuco e mostrano l’autonomia filosofica e la finezza teologica dell’agostiniano. Questo studio, mirante a ricostruire il contesto intellettuale che fa da sfondo alla redazione del De summo bono e a farne emergere i temi caratteristici, contiene anche, in Appendice, la prima edizione dell’opera.
Il De summo bono di Girolamo Seripando tra umanesimo meridionale e tradizione platonica. Con edizione critica del testo
Angelo Maria Vitale
2016
Abstract
Nonostante sia largamente noto il ruolo centrale svolto al Concilio di Trento dall’agostiniano napoletano Girolamo Seripando (1492-1563), in quanto teologo della giustificazione e legato pontificio, una parte consistente della sua opera filosofico-teologica attende ancora di essere riconosciuta nel suo pieno valore. Scarsa attenzione, in particolare, è stata sinora riservata ai frutti della sua prima fase di attività, ossia al vasto corpus di quaestiones e al trattato De summo bono, la cui stesura copre un arco di tempo che va dai primi anni Venti alla seconda metà degli anni Trenta del Cinquecento. Questi scritti restituiscono il profilo di un epigono della tradizione umanistica napoletana e di un fautore di una forma eclettica di platonismo, orientato a tracciare, sulla base del modello elaborato da Marsilio Ficino e da Egidio da Viterbo, una linea di continuità tra la doctrina gentilium e la sapientia christiana. Sono opere, come notava Hubert Jedin, che anticipano di alcuni anni la philosophia perennis di Agostino Steuco e mostrano l’autonomia filosofica e la finezza teologica dell’agostiniano. Questo studio, mirante a ricostruire il contesto intellettuale che fa da sfondo alla redazione del De summo bono e a farne emergere i temi caratteristici, contiene anche, in Appendice, la prima edizione dell’opera.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.