La recente legge n. 68/15 di riforma del diritto penale dell’ambiente si presenta, complessivamente, come l’ennesima occasione mancata, anche se non difetta di aspetti positivi: la ricodificazione, il ristretto numero di fattispecie incriminatrici; la disposizione premiale in tema di ravvedimento operoso (art. 452- decies), il ripristino dello stato dei luoghi (art. 452-duodecies); la confisca (anche) per equivalente (art. 452-undecies). La previsione di figure delittuose in attuazione della Direttiva 2008/99/CE richiedeva, per evidenti ragioni sistematiche, un riordino dell’intero sistema sanzionatorio; il legislatore, invece, si è limitato ad introdurre delle nuove fattispecie all’interno del codice penale senza alcuna operazione di armonizzazione e coordinamento. Ad uno sguardo d’insieme risulta una normativa di tipo postmoderno e le ricadute, in ambito penalistico, di una tale impostazione si materializzano in una legislazione asistematica, ricca di eccezioni e sub-eccezioni, con accentuata utilizzazione di sotto-sistemi e, in sintesi, avulsa dai principi. Il primo aspetto della legge che colpisce è l’entità delle pene; la legge n. 68/15 si pone come classico esempio di simbolismo repressivo e, come tale, carente di effettività. La tecnica di normazione spesso utilizza formule generiche (ad es. le locuzioni ‘compromissione o deterioramento’, ‘significativi e misurabili’, ‘alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali’). In questi casi è forte il rischio dell’applicazione del diritto del caso per caso, con evidenti ricadute sul piano della parità di trattamento e, quindi, della giustizia sostanziale. Non meno irrazionale è anche il raddoppio dei termini di prescrizione del tutto avulso dal sistema. In una prospettiva di lege ferenda, si pone in risalto l’importanza di una sinergia tra strumenti amministrativo-sanzionatori e penalistici. In tale ottica l’illecito amministrativo si dovrebbe far carico dell’ampio settore coperto dalle contravvenzioni prodromiche, e di tutte quelle che sanzionano comportamenti lontanamente offensivi dell’ambiente. Il diritto penale dovrebbe intervenire, in sintonia con le opzioni di frammentarietà, di tassatività, di offensività, per colpire fatti rilevanti sul piano dell’offesa, che arrecano un danno o pongono concretamente in pericolo le singole componenti del più ampio bene-ambiente, valorizzato in una dimensione strumentale alla persona umana, secondo una Weltanschauung antropocentrica. A tal fine viene prefigurata una soluzione ricorrendo allo schema sotteso al delitto di danneggiamento in forma aggravata, adattato alla specificità del settore. Per le ipotesi di anticipazione della tutela si prospetta il ricorso alla categoria del pericolo concreto, funzionale a sanzionare alcuni comportamenti estrapolati dalle attuali contravvenzioni e riportati nell’ambito dei delitti.

LA TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE I profili problematici della Legge n. 68/2015.

TELESCA Mariangela
2016-01-01

Abstract

La recente legge n. 68/15 di riforma del diritto penale dell’ambiente si presenta, complessivamente, come l’ennesima occasione mancata, anche se non difetta di aspetti positivi: la ricodificazione, il ristretto numero di fattispecie incriminatrici; la disposizione premiale in tema di ravvedimento operoso (art. 452- decies), il ripristino dello stato dei luoghi (art. 452-duodecies); la confisca (anche) per equivalente (art. 452-undecies). La previsione di figure delittuose in attuazione della Direttiva 2008/99/CE richiedeva, per evidenti ragioni sistematiche, un riordino dell’intero sistema sanzionatorio; il legislatore, invece, si è limitato ad introdurre delle nuove fattispecie all’interno del codice penale senza alcuna operazione di armonizzazione e coordinamento. Ad uno sguardo d’insieme risulta una normativa di tipo postmoderno e le ricadute, in ambito penalistico, di una tale impostazione si materializzano in una legislazione asistematica, ricca di eccezioni e sub-eccezioni, con accentuata utilizzazione di sotto-sistemi e, in sintesi, avulsa dai principi. Il primo aspetto della legge che colpisce è l’entità delle pene; la legge n. 68/15 si pone come classico esempio di simbolismo repressivo e, come tale, carente di effettività. La tecnica di normazione spesso utilizza formule generiche (ad es. le locuzioni ‘compromissione o deterioramento’, ‘significativi e misurabili’, ‘alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali’). In questi casi è forte il rischio dell’applicazione del diritto del caso per caso, con evidenti ricadute sul piano della parità di trattamento e, quindi, della giustizia sostanziale. Non meno irrazionale è anche il raddoppio dei termini di prescrizione del tutto avulso dal sistema. In una prospettiva di lege ferenda, si pone in risalto l’importanza di una sinergia tra strumenti amministrativo-sanzionatori e penalistici. In tale ottica l’illecito amministrativo si dovrebbe far carico dell’ampio settore coperto dalle contravvenzioni prodromiche, e di tutte quelle che sanzionano comportamenti lontanamente offensivi dell’ambiente. Il diritto penale dovrebbe intervenire, in sintonia con le opzioni di frammentarietà, di tassatività, di offensività, per colpire fatti rilevanti sul piano dell’offesa, che arrecano un danno o pongono concretamente in pericolo le singole componenti del più ampio bene-ambiente, valorizzato in una dimensione strumentale alla persona umana, secondo una Weltanschauung antropocentrica. A tal fine viene prefigurata una soluzione ricorrendo allo schema sotteso al delitto di danneggiamento in forma aggravata, adattato alla specificità del settore. Per le ipotesi di anticipazione della tutela si prospetta il ricorso alla categoria del pericolo concreto, funzionale a sanzionare alcuni comportamenti estrapolati dalle attuali contravvenzioni e riportati nell’ambito dei delitti.
2016
978 88 921 0409 9
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