Come chiaramente specificato dallo stesso editore, il volume è l’edizione tedesca riveduta e ampliata della edizione italiana de “Il diritto penale tra scienza e scientismo. Derive autoritarie e falsificabilità nella scienza del diritto penale” pubblicata dallo stesso autore per i tipi di ESI – Edizioni Scientifiche Italiane (Napoli) nel 2012. Ne risulta ancora condivisa l’ipotesi iniziale secondo cui la scienza diventa scientismo quando «deprava l’ontico ad un continuum eterogeneo e senza valori, […] priva la storia e la natura del loro ontico carattere di Esserci e ne fa prodotti di metodologiche elaborazioni concettuali» (Welzel): in ambito specificamente giuridico-penale, ciò sarebbe accaduto negli anni immediatamente precedenti la involuzione autoritaria del nazionalsocialismo, resa possibile anche dalla adesione al metodo di elaborazione concettuale teleologicamente orientato, proposta dai giuristi di ispirazione neokantiana. In alternativa, la proposta di Hans Welzel, fondata su un ontologismo di derivazione fenomenologica, attribuiva esplicita rilevanza metodologica alla l’intuizione, facilitata da una adeguata sensibilità storica, politica e sociale e da «una coscienza ermeneuticamente educata» che «non presuppone [...] un oblio di sé stessi, ma implica una precisa presa di coscienza delle proprie presupposizioni e dei propri pregiudizi» (Gadamer). Si delinea, allora, la necessità della «consapevolezza della fallibilità della scienza che distingue lo scienziato dallo scientista» (Popper) e che, in una prospettiva rigorosamente epistemologica ovvero diversa da quella meramente esegetica, alla scienza del diritto penale è garantita dal perseguimento di finalità politico-criminali, secondo le indicazioni di Claus Roxin. Anche in questa prospettiva, tuttavia, va affermata la necessaria unità dialettica tra la politica criminale e la «vincolatività del diritto» che, in via prioritaria, traccia l’ambito della discrezionalità attribuita al giurista nelle sue valutazioni politico-criminali: la critica dei discorsi sulla base di un impegno ideologico per i diritti umani definisce, allora, l’obiettivo condiviso dalla scienza giuridico-penale e dalla criminologia non solo nella prospettiva macrofisica del potere punitivo, ma anche in quella microfisica del potere disciplinare alla quale, nella sua limpida ed efficace elaborazione, Michel Foucault ricondusse anche le «chiacchiere della criminologia».

Strafrecht zwischen Wissenschaft und Szientismus. Autoritäre Verirrungen und Falsifizierbarkeit in der Strafrechtswissenschaft

schiaffo
2018-01-01

Abstract

Come chiaramente specificato dallo stesso editore, il volume è l’edizione tedesca riveduta e ampliata della edizione italiana de “Il diritto penale tra scienza e scientismo. Derive autoritarie e falsificabilità nella scienza del diritto penale” pubblicata dallo stesso autore per i tipi di ESI – Edizioni Scientifiche Italiane (Napoli) nel 2012. Ne risulta ancora condivisa l’ipotesi iniziale secondo cui la scienza diventa scientismo quando «deprava l’ontico ad un continuum eterogeneo e senza valori, […] priva la storia e la natura del loro ontico carattere di Esserci e ne fa prodotti di metodologiche elaborazioni concettuali» (Welzel): in ambito specificamente giuridico-penale, ciò sarebbe accaduto negli anni immediatamente precedenti la involuzione autoritaria del nazionalsocialismo, resa possibile anche dalla adesione al metodo di elaborazione concettuale teleologicamente orientato, proposta dai giuristi di ispirazione neokantiana. In alternativa, la proposta di Hans Welzel, fondata su un ontologismo di derivazione fenomenologica, attribuiva esplicita rilevanza metodologica alla l’intuizione, facilitata da una adeguata sensibilità storica, politica e sociale e da «una coscienza ermeneuticamente educata» che «non presuppone [...] un oblio di sé stessi, ma implica una precisa presa di coscienza delle proprie presupposizioni e dei propri pregiudizi» (Gadamer). Si delinea, allora, la necessità della «consapevolezza della fallibilità della scienza che distingue lo scienziato dallo scientista» (Popper) e che, in una prospettiva rigorosamente epistemologica ovvero diversa da quella meramente esegetica, alla scienza del diritto penale è garantita dal perseguimento di finalità politico-criminali, secondo le indicazioni di Claus Roxin. Anche in questa prospettiva, tuttavia, va affermata la necessaria unità dialettica tra la politica criminale e la «vincolatività del diritto» che, in via prioritaria, traccia l’ambito della discrezionalità attribuita al giurista nelle sue valutazioni politico-criminali: la critica dei discorsi sulla base di un impegno ideologico per i diritti umani definisce, allora, l’obiettivo condiviso dalla scienza giuridico-penale e dalla criminologia non solo nella prospettiva macrofisica del potere punitivo, ma anche in quella microfisica del potere disciplinare alla quale, nella sua limpida ed efficace elaborazione, Michel Foucault ricondusse anche le «chiacchiere della criminologia».
2018
978-3-643-80293-4
978-3-643-85293-9
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