La recente fattispecie di ‘diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti’ (art. 612-ter c.p.), introdotta dalla l. n. 69/2019, ha colmato una lacuna dell’ordinamento, poiché le norme in vigore erano strutturalmente inidonee a fronteggiare un fenomeno reso particolarmente insidioso dalla c.d. rivoluzione digitale. Un efficace rimedio per la complessa questione (riduttivamente ricostruita come subspecies della ‘violenza di genere’) richiedeva, però, altri e più articolati dispositivi a corredo della risposta sanzionatoria. Il gestore del sito web risulta ancora una volta ‘risparmiato’ mentre andava coinvolto, almeno, nell’azione di immediata rimozione o deindicizzazione dei contenuti illegalmente postati sul circuito digitale. La reale tutela della persona offesa presupponeva opzioni funzionali al riconoscimento del c.d. diritto all’oblio che, viceversa, è stato completamente trascurato dal legislatore. Le carenze strutturali della nuova fattispecie rischiano, sotto altri profili, di vanificare le possibilità applicative senza la consueta ‘riscrittura’ da parte della giurisprudenza in funzione nomofilattica. Anche in questo frangente la retorica qualunquista, arricchita da ibrida pluridiscorsività, in linea con un diritto penale intriso di oclocrazia, ha dettato tempi e modi dell’intervento punitivo. La soluzione non può essere perseguita ricorrendo more solito alla mera repressione, ancor di più se attivata in ossequio ad un diffuso stoltiloquio, ma attraverso la valorizzazione di processi d’insieme nell’ottica di un sistema integrato di interventi. Non vi è dubbio alcuno che il diritto penale debba apportare il proprio contributo ma non può essere ritenuto la panacea; al netto degli emologismi populistici, lo strumento penalistico ben poco può rispetto alla fagocitante desertificazione culturale.
L’art. 612-ter c.p. Diffusione ill ecita di immagini o video sessualmente espliciti. Tra buoni propositi, denegato diritto all’oblio e morti “social”
Lo Monte Elio
2021-01-01
Abstract
La recente fattispecie di ‘diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti’ (art. 612-ter c.p.), introdotta dalla l. n. 69/2019, ha colmato una lacuna dell’ordinamento, poiché le norme in vigore erano strutturalmente inidonee a fronteggiare un fenomeno reso particolarmente insidioso dalla c.d. rivoluzione digitale. Un efficace rimedio per la complessa questione (riduttivamente ricostruita come subspecies della ‘violenza di genere’) richiedeva, però, altri e più articolati dispositivi a corredo della risposta sanzionatoria. Il gestore del sito web risulta ancora una volta ‘risparmiato’ mentre andava coinvolto, almeno, nell’azione di immediata rimozione o deindicizzazione dei contenuti illegalmente postati sul circuito digitale. La reale tutela della persona offesa presupponeva opzioni funzionali al riconoscimento del c.d. diritto all’oblio che, viceversa, è stato completamente trascurato dal legislatore. Le carenze strutturali della nuova fattispecie rischiano, sotto altri profili, di vanificare le possibilità applicative senza la consueta ‘riscrittura’ da parte della giurisprudenza in funzione nomofilattica. Anche in questo frangente la retorica qualunquista, arricchita da ibrida pluridiscorsività, in linea con un diritto penale intriso di oclocrazia, ha dettato tempi e modi dell’intervento punitivo. La soluzione non può essere perseguita ricorrendo more solito alla mera repressione, ancor di più se attivata in ossequio ad un diffuso stoltiloquio, ma attraverso la valorizzazione di processi d’insieme nell’ottica di un sistema integrato di interventi. Non vi è dubbio alcuno che il diritto penale debba apportare il proprio contributo ma non può essere ritenuto la panacea; al netto degli emologismi populistici, lo strumento penalistico ben poco può rispetto alla fagocitante desertificazione culturale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.