Lo spettacolo è stato un cardine del consenso durante il fascismo. Il volume ricostruisce il meccanismo di censure, di lacci e lacciuoli con cui il regime imbrigliò ciò che gli spettatori vedevano sulla scena e sugli schermi italiani. L'abbandono di una pratica personalistica nell'ambito della politica culturale si ebbe nel passaggio dagli Anni Venti agli Anni Trenta, gli anni della "normalizzazione". Si passa dalla pratica della repressione e dell'improvvisazione a quella del consenso e del coinvolgimento o - per dirla in altro modo - dalle passioni, dai sogni, dai progetti (di tanti intellettuali e cineasti di belle speranze) alle pratiche istituzionali, agli enti ministeriali, ai burocrati. Il 1931 segna l'inizio della svolta in tutti i settori della comunicazione e dello spettacolo; nel cinema e nel teatro in primo luogo. Il regime interviene a favore di un sistema misto in cui lo stato, forte di un controllo sui vari passaggi della produzione, si attribuisce il ruolo di indirizzo ideologico e di promotore finanziario. Rispetto al passato, lo stato adegua la revisione teatrale a quella cinematografica, nel senso che istituisce un ufficio ministeriale di censura preventiva affidato a un censore unico. Il disegno è uniformare le diverse branche dello spettacolo, secondo un unico criterio censorio, sotto la supervisione del duce. Da allora in poi ogni decisione veniva presa attraverso una catena che partiva dal censore, passava per il ministro competente e arrivava su fino al giudizio insindacabile di Mussolini. Il risultato del lavoro sotterraneo della censura, aggiunto a quello palese degli altri organismi creati all'occorrenza, fu di addormentare più di una coscienza e di soffocare la vitalità dello spettacolo italiano. Singoli casi di autonomia intellettuale - pochi in verità - valgono per quello che sono: splendide testimonianze individuali. Il costume del bastone (censura) e della carota (sovvenzioni) fu il sistema che il regime mise in atto per ottenere ciò che più gli stava a cuore: acquiescenza, autocensura, conformismo, compromissione, adulazione a cui fu ridotto lo spettacolo italiano.
Lo spettacolo asservito. Teatro e cinema in epoca fascista
Iaccio Pasquale
2020-01-01
Abstract
Lo spettacolo è stato un cardine del consenso durante il fascismo. Il volume ricostruisce il meccanismo di censure, di lacci e lacciuoli con cui il regime imbrigliò ciò che gli spettatori vedevano sulla scena e sugli schermi italiani. L'abbandono di una pratica personalistica nell'ambito della politica culturale si ebbe nel passaggio dagli Anni Venti agli Anni Trenta, gli anni della "normalizzazione". Si passa dalla pratica della repressione e dell'improvvisazione a quella del consenso e del coinvolgimento o - per dirla in altro modo - dalle passioni, dai sogni, dai progetti (di tanti intellettuali e cineasti di belle speranze) alle pratiche istituzionali, agli enti ministeriali, ai burocrati. Il 1931 segna l'inizio della svolta in tutti i settori della comunicazione e dello spettacolo; nel cinema e nel teatro in primo luogo. Il regime interviene a favore di un sistema misto in cui lo stato, forte di un controllo sui vari passaggi della produzione, si attribuisce il ruolo di indirizzo ideologico e di promotore finanziario. Rispetto al passato, lo stato adegua la revisione teatrale a quella cinematografica, nel senso che istituisce un ufficio ministeriale di censura preventiva affidato a un censore unico. Il disegno è uniformare le diverse branche dello spettacolo, secondo un unico criterio censorio, sotto la supervisione del duce. Da allora in poi ogni decisione veniva presa attraverso una catena che partiva dal censore, passava per il ministro competente e arrivava su fino al giudizio insindacabile di Mussolini. Il risultato del lavoro sotterraneo della censura, aggiunto a quello palese degli altri organismi creati all'occorrenza, fu di addormentare più di una coscienza e di soffocare la vitalità dello spettacolo italiano. Singoli casi di autonomia intellettuale - pochi in verità - valgono per quello che sono: splendide testimonianze individuali. Il costume del bastone (censura) e della carota (sovvenzioni) fu il sistema che il regime mise in atto per ottenere ciò che più gli stava a cuore: acquiescenza, autocensura, conformismo, compromissione, adulazione a cui fu ridotto lo spettacolo italiano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.