Durante l’iter di approvazione del d.d.l. n. 1455, meglio conosciuto come ‘codice rosso’ a tutela della donna contro la violenza di genere, è stato ritirato l’emendamento concernente l’introduzione del trattamento farmacologico di blocco androgenico totale a carico dei condannati per delitti di violenza sessuale (cd. castrazione farmacologica). Le condivisibili esigenze di maggiore tutela della donna non possono far passare in secondo piano i rischi connessi alla eventuale introduzione nell’ordinamento di una tale soluzione. Il contributo, dopo aver evidenziato i rischi medici della misura e dopo alcuni riferimenti di diritto comparato, si sofferma sul rapporto tra castrazione farmacologica e dignità della persona. La soluzione ipotizzata nella proposta di legge viene sottoposta a critica per una serie di motivi che attengono all’uso strumentale, da parte del legislatore, della rappresentazione mediatica della violenza sessuale e, quindi, alla ricerca del consenso nonché alla conseguente previsione di misure sanzionatorie che possono essere annoverate tra le pene corporali. La castrazione, sia essa chirurgica, farmacologica, obbligatoria, discrezionale o indotta – non diversamente dalle pene infamanti come gogna e marchio, che evidenziavano un notevole sadismo ed una totale mancanza di rispetto per il condannato e per i suoi diritti fondamentali – si pone in perfetta simbiosi con le tendenze diffuse di sanzioni ‘risolutive’ (meglio se corporali e stigmatizzanti) ma ancor di più con un diritto penale arcaico.
La proposta di legge sulla castrazione farmacologica. Verso la riscoperta delle pene corporali: ossia prove di arcaismo penale.
TELESCA Mariangela
2019
Abstract
Durante l’iter di approvazione del d.d.l. n. 1455, meglio conosciuto come ‘codice rosso’ a tutela della donna contro la violenza di genere, è stato ritirato l’emendamento concernente l’introduzione del trattamento farmacologico di blocco androgenico totale a carico dei condannati per delitti di violenza sessuale (cd. castrazione farmacologica). Le condivisibili esigenze di maggiore tutela della donna non possono far passare in secondo piano i rischi connessi alla eventuale introduzione nell’ordinamento di una tale soluzione. Il contributo, dopo aver evidenziato i rischi medici della misura e dopo alcuni riferimenti di diritto comparato, si sofferma sul rapporto tra castrazione farmacologica e dignità della persona. La soluzione ipotizzata nella proposta di legge viene sottoposta a critica per una serie di motivi che attengono all’uso strumentale, da parte del legislatore, della rappresentazione mediatica della violenza sessuale e, quindi, alla ricerca del consenso nonché alla conseguente previsione di misure sanzionatorie che possono essere annoverate tra le pene corporali. La castrazione, sia essa chirurgica, farmacologica, obbligatoria, discrezionale o indotta – non diversamente dalle pene infamanti come gogna e marchio, che evidenziavano un notevole sadismo ed una totale mancanza di rispetto per il condannato e per i suoi diritti fondamentali – si pone in perfetta simbiosi con le tendenze diffuse di sanzioni ‘risolutive’ (meglio se corporali e stigmatizzanti) ma ancor di più con un diritto penale arcaico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.