I continui provvedimenti di riforma dell’art. 323 c.p., per quanto apprezzabilmente tesi a ridurre l’ambito di operativita` di una norma penale da porre al riparo da discutibili riespansioni giurisprudenziali, rappresentano, tuttavia, la piu` evidente dimostrazione del fallimento di una tale opzione legislativa sul terreno politico-criminale. Infatti, il circuito tra paura del potere di firma, burocrazia difensiva e corruzione sistemica e` risultato e risulta sempre piu` alimentato dalla impossibilita` di scongiurare il rischio di assoggettamento del pubblico funzionario al procedimento penale come unica vera sanzione per il suo operato. In questo quadro, allora, una “riforma delle riforme” si impone. Essa, nell’assumere a modello istituti gia` noti in funzione di tertium comparationis, dovra` fare propria la possibilita` di spostare la tutela di valori dal terreno tradizionale della incriminazione a quello della giustificazione. E tutto questo valorizzando quella nuova idea di scriminante procedurale che, sulla base di condizioni pre-determinate per legge, sappia riconoscere ex ante una prognosi privilegiata statale all’interno di uno spazio di diritto libero da porre ragionevolmente a garanzia di “tutti” gli agenti pubblici e per quelle loro decisioni solo cosı`insindacabili cui l’ordinamento, in caso di divergenza con il risultato successivo ed in via solidaristica, non puo` che non assicurare un indennizzo, ma come conseguenza giuridica non sanzionatoria. Il contributo della autonormazione pubblicistica all’autocontrollo penale all’interno di schemi rinnovati di formante positivo capace di fondare una legalita` complessa, allora, si fara` cosı`apprezzare soprattutto per la sua capacita` di porsi a fondamento di una altrettanto rinnovata teoria del (l’il)lecito destinata finalmente ad assicurare la tenuta del sistema amministrativo pubblico, anche per la affidabilita` di investimenti finanziari dall’esterno.

L’ART. 323 C.P.: L’ABUSO D’UFFICIO DEL “QUINTO” TIPO TRA DOMMATICA DI GARANZIA E RAZIONALITÀ DELLA POLITICA CRIMINALE

Sessa Antonino
2022-01-01

Abstract

I continui provvedimenti di riforma dell’art. 323 c.p., per quanto apprezzabilmente tesi a ridurre l’ambito di operativita` di una norma penale da porre al riparo da discutibili riespansioni giurisprudenziali, rappresentano, tuttavia, la piu` evidente dimostrazione del fallimento di una tale opzione legislativa sul terreno politico-criminale. Infatti, il circuito tra paura del potere di firma, burocrazia difensiva e corruzione sistemica e` risultato e risulta sempre piu` alimentato dalla impossibilita` di scongiurare il rischio di assoggettamento del pubblico funzionario al procedimento penale come unica vera sanzione per il suo operato. In questo quadro, allora, una “riforma delle riforme” si impone. Essa, nell’assumere a modello istituti gia` noti in funzione di tertium comparationis, dovra` fare propria la possibilita` di spostare la tutela di valori dal terreno tradizionale della incriminazione a quello della giustificazione. E tutto questo valorizzando quella nuova idea di scriminante procedurale che, sulla base di condizioni pre-determinate per legge, sappia riconoscere ex ante una prognosi privilegiata statale all’interno di uno spazio di diritto libero da porre ragionevolmente a garanzia di “tutti” gli agenti pubblici e per quelle loro decisioni solo cosı`insindacabili cui l’ordinamento, in caso di divergenza con il risultato successivo ed in via solidaristica, non puo` che non assicurare un indennizzo, ma come conseguenza giuridica non sanzionatoria. Il contributo della autonormazione pubblicistica all’autocontrollo penale all’interno di schemi rinnovati di formante positivo capace di fondare una legalita` complessa, allora, si fara` cosı`apprezzare soprattutto per la sua capacita` di porsi a fondamento di una altrettanto rinnovata teoria del (l’il)lecito destinata finalmente ad assicurare la tenuta del sistema amministrativo pubblico, anche per la affidabilita` di investimenti finanziari dall’esterno.
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