Il presente contributo prende in considerazione la cooperazione giudiziaria in ambito penale, che da tempo rincorre un adeguamento normativo mirato a disporre di nuovi meccanismi adatti ad una celere e pronta trasmissione della c.d. prova digitale. Quest’ultima, non a caso, rivela una propria complessità che risiede anzitutto nella sua natura “privata”, nonché nei rischi correlati alla violazione dei diritti fondamentali coinvolti, tra cui emerge in particolar modo la privacy. A tal riguardo, la normativa europea ha risposto in maniera decisa all’esigenza di un dialogo diretto con i providers, ovvero i soggetti direttamente coinvolti nel traffico dei dati d’interesse per le autorità giudiziarie del continente. Tant’è che, con l’intenzione di sorpassare i limiti degli strumenti tradizionali, l’Unione europea ed il Consiglio d’Europa, rispettivamente, si sono dotati, nel luglio 2023, del Regolamento (UE) 2023/1543, sull’ordine europeo di produzione e conservazione della prova digitale in ambito penale e; nel 2021, del Secondo Protocollo alla Convenzione sul crimine informatico. Sebbene formalmente la nuova disciplina europea sia subordinata a non cagionare indebite interferenze nei diritti dell’individuo, il presente contributo intende evidenziare che, da un confronto con la prassi giurisprudenziale sulla data retention e sulla mass surveillance, emergono invece rimarcabili incongruenze a riguardo. Nel dettaglio, l’analisi ambisce a dimostrare che l’applicazione analogica dei principi di necessità e proporzionalità al neonato Regolamento ed al Secondo Protocollo della Convenzione di Budapest – così come intesi dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – renderebbero manifesto un eccesso di “privatizzazione” nella materia oltre che la presenza di “geometrie variabili” nella tutela offerta agli individui.

S. Busillo, Conservazione e produzione della prova digitale nella nuova disciplina europea: il potenziale disallineamento con i principi espressi dalla giurisprudenza di settore, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, n. 3, pp. 27-62 (ISSN 2532-2079), 2023

stefano busillo
2023-01-01

Abstract

Il presente contributo prende in considerazione la cooperazione giudiziaria in ambito penale, che da tempo rincorre un adeguamento normativo mirato a disporre di nuovi meccanismi adatti ad una celere e pronta trasmissione della c.d. prova digitale. Quest’ultima, non a caso, rivela una propria complessità che risiede anzitutto nella sua natura “privata”, nonché nei rischi correlati alla violazione dei diritti fondamentali coinvolti, tra cui emerge in particolar modo la privacy. A tal riguardo, la normativa europea ha risposto in maniera decisa all’esigenza di un dialogo diretto con i providers, ovvero i soggetti direttamente coinvolti nel traffico dei dati d’interesse per le autorità giudiziarie del continente. Tant’è che, con l’intenzione di sorpassare i limiti degli strumenti tradizionali, l’Unione europea ed il Consiglio d’Europa, rispettivamente, si sono dotati, nel luglio 2023, del Regolamento (UE) 2023/1543, sull’ordine europeo di produzione e conservazione della prova digitale in ambito penale e; nel 2021, del Secondo Protocollo alla Convenzione sul crimine informatico. Sebbene formalmente la nuova disciplina europea sia subordinata a non cagionare indebite interferenze nei diritti dell’individuo, il presente contributo intende evidenziare che, da un confronto con la prassi giurisprudenziale sulla data retention e sulla mass surveillance, emergono invece rimarcabili incongruenze a riguardo. Nel dettaglio, l’analisi ambisce a dimostrare che l’applicazione analogica dei principi di necessità e proporzionalità al neonato Regolamento ed al Secondo Protocollo della Convenzione di Budapest – così come intesi dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – renderebbero manifesto un eccesso di “privatizzazione” nella materia oltre che la presenza di “geometrie variabili” nella tutela offerta agli individui.
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