L'università tra derive paradigmatiche e modelli emergenti: quale specificità pedagogica?

In recent decades, the Italian university has experienced some transformation processes that have changed its traditional paradigms, referable to its mission, functions and objectives. On the one hand, the idea of a university that aims at selecting the ruling class, a legacy of a Gentilean perspective, seems to have waned; on the other hand, the perception of the uselessness or, however, of the poor effective usefulness of the legal value of the educational qualification is karstically spreading. Despite national and local academic policies for ensuring better objective conditions (canteens, laboratories, university residences, company crèches, participatory spaces, etc.), stories pervaded with a not easy to label, hardly definable malaise keep appearing, to a pedagogical gaze which is attentive to subjectivity forms, and they originate in a university experience studded with failures, renunciations and unsuccessful recommencements. Moving from these short premises, this study will try to centralize the role of a pedagogical knowledge that dares to identify and, simultaneously, to denounce a mere bureaucratic, falsely liberal logic underlying academic-political choices that are frequently extemporary and fragmentary. The hallmark of a pedagogical militancy could move in the direction of a caring not rhetorically announced, but centred on the dimension of a humanitas that regains the wonder of mistake, the joy of recommencement.

L’università italiana ha vissuto negli ultimi decenni processi di trasformazione che hanno modificato i tradizionali paradigmi riferibili alla sua mission, alle sue funzioni, ai suoi obiettivi. Da un lato sembra essere tramontata l’idea di un’università volta alla selezione della classe dirigente, retaggio di una prospettiva gentiliana, dall’altro serpeggia carsicamente la percezione dell’inutilità o, comunque, della scarsa effettiva utilità del valore legale del titolo di studio. A fronte di politiche accademiche nazionali e locali tese a garantire migliori condizioni oggettive (mense, laboratori, residenze universitarie, nidi aziendali, spazi partecipativi, etc.), continuano a rivelarsi, a uno sguardo pedagogico attento alle forme della soggettività, storie pervase da un malessere, difficilmente definibile ed etichettabile, esito di un’esperienza universitaria costellata da fallimenti, rinunce e mancati ricominciamenti. Muovendo da queste brevi premesse, il contributo tenterà di centralizzare il ruolo di un sapere pedagogico che abbia il coraggio di individuare e, al contempo, denunciare le mere logiche burocratiche, falsamente liberali, sottese a scelte politico-accademiche spesso estemporanee e disorganiche. La cifra di una militanza pedagogica potrebbe andare, dunque, nella direzione di un caring, non retoricamente annunciato ma incentrato