La riforma del diritto penale dell’ambiente, di cui alla legge n. 68/2015, ha finito per porsi, nonostante i buoni propositi, come l’ennesima occasione mancata; le poche luci risultano offuscate dalle molteplici inadeguatezze dommatiche e politico-criminali. Dopo lustri di attesa ci si aspettava un provvedimento di più ampio respiro, in grado di ridisegnare l’apparato sanzionatorio a tutela delle matrici ambientali, che si caratterizzasse per incisività della risposta. Il legislatore, invece, si è mosso in un’ottica di ‘mediazione’, cercando di conciliare impostazioni irriducibili tra il precedente sistema delle contravvenzioni prodromiche e il nuovo, impostato su figure delittuose. La strutturazione delle singole fattispecie risulta inficiata da abituali carenze consentanee all’uso di formule evanescenti, che ipotizzano macro-eventi di difficile verificabilità e, soprattutto, di ardua dimostrabilità nel processo. Ancora una volta, al ‘diritto vivente’ viene delegato il compito di tratteggiare la reale portata del tipo criminoso, con ovvi riverberi sul corretto funzionamento del sistema penale complessivamente considerato. La costruzione del diritto penale dell’ambiente come sotto-sistema normativo avulso dai principi costituzionali che asseconda, more solito, semplicistiche istanze populistiche di rigorismo repressivo - operazione già di per sé censurabile - appare inadeguata a soddisfare le esigenze di effettività che il settore lamenta, come si ricava, del resto, dalle recenti sollecitazioni del legislatore sovranazionale (Direttiva UE 2024/1203), orientate al perseguimento di migliori livelli di tutela dell’ambiente espressamente assurto, nel contempo, (l. n. 1/2022) a ‘valore’ costituzionale.

La riforma sugli “ecoreati”. Criticità e prospettiva (legge n. 68 del 2015).

Telesca Mariangela
2025

Abstract

La riforma del diritto penale dell’ambiente, di cui alla legge n. 68/2015, ha finito per porsi, nonostante i buoni propositi, come l’ennesima occasione mancata; le poche luci risultano offuscate dalle molteplici inadeguatezze dommatiche e politico-criminali. Dopo lustri di attesa ci si aspettava un provvedimento di più ampio respiro, in grado di ridisegnare l’apparato sanzionatorio a tutela delle matrici ambientali, che si caratterizzasse per incisività della risposta. Il legislatore, invece, si è mosso in un’ottica di ‘mediazione’, cercando di conciliare impostazioni irriducibili tra il precedente sistema delle contravvenzioni prodromiche e il nuovo, impostato su figure delittuose. La strutturazione delle singole fattispecie risulta inficiata da abituali carenze consentanee all’uso di formule evanescenti, che ipotizzano macro-eventi di difficile verificabilità e, soprattutto, di ardua dimostrabilità nel processo. Ancora una volta, al ‘diritto vivente’ viene delegato il compito di tratteggiare la reale portata del tipo criminoso, con ovvi riverberi sul corretto funzionamento del sistema penale complessivamente considerato. La costruzione del diritto penale dell’ambiente come sotto-sistema normativo avulso dai principi costituzionali che asseconda, more solito, semplicistiche istanze populistiche di rigorismo repressivo - operazione già di per sé censurabile - appare inadeguata a soddisfare le esigenze di effettività che il settore lamenta, come si ricava, del resto, dalle recenti sollecitazioni del legislatore sovranazionale (Direttiva UE 2024/1203), orientate al perseguimento di migliori livelli di tutela dell’ambiente espressamente assurto, nel contempo, (l. n. 1/2022) a ‘valore’ costituzionale.
2025
9791221113259
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