L’espressione di “governo misto” o “costituzione mista” sembra rimandare ad una sorta di quarto genere rispetto a quelli indicati dalle tre classiche forme di governo che strutturano, si direbbe da sempre, il lessico e l’ossatura della politica. Il volume ripercorre la storia del venire alla luce di questo quarto genere partendo dalla convinzione che esso non abbia mai costituito un punto di partenza nello sviluppo delle forme di potere ma piuttosto un punto di arrivo. Punto di arrivo che ha alle proprie spalle e il consumarsi dell’idea della semplicità della città e conseguentemente della forma della sua gestione politica, e il formarsi di una forma di sapere, quello medico, capace di considerare salute e malattia come forme di equilibrio o di rottura dei rapporti armonici tra le parti di quel “composto” che è l’uomo e poi lo Stato. Radicata sulla convinzione rintracciabile già nel Platone delle Leggi che le costituzioni non possano consegnare tutto il potere ad una parte ma che richiedano una certa mescolanza, la teoria della mistione troverà nella riflessione aristotelica tesa a salvare le costituzioni, uno dei suoi più significativi punti d’approdo. Vista come il segreto della potenza romana da Polibio, come la migliore delle forme da Tommaso che ne vedeva i presupposti realizzati nel governo del popolo d’Israele, la mistione costituì uno dei modi con cui il Conciliarismo riuscì, “temperando” il potere del pontefice, a risolvere il problema della compresenza sul soglio di Pietro di due pontefici e di due collegi cardinalizi. Che la mistione fosse un genere altro rispetto ai suoi componenti ma potesse altresì inclinare verso uno di essi è convinzione espressa da Contarini che vedeva a Venezia una mistione aristocratica e da Giannotti che voleva a Firenze una popolare. Il concetto come arma di battaglia politica, capace di proporre un modello partecipato di potere al nascente Stato assoluto sarà ancora al centro di due tentativi di rappresentazione del potere in Francia con Seyssel e in Inghilterra con Harrington ma non riuscì a sopravvivere alla teoria della sovranità popolare che ne spezzò i presupposti decretandone la fine all’altezza delle due rivoluzioni di fine ‘Settecento. Il volume è corredato da un’appendice di testi, alcuni dei quali, come il Proemio che Claude de Seyssel scrisse alla sua traduzione della Storia romana di Appiano, sono presentati per la prima volta al lettore italiano.

La miktè politéia tra antico e moderno. Dal "quartum genus" alla monarchia limitata

TARANTO, Domenico
2006-01-01

Abstract

L’espressione di “governo misto” o “costituzione mista” sembra rimandare ad una sorta di quarto genere rispetto a quelli indicati dalle tre classiche forme di governo che strutturano, si direbbe da sempre, il lessico e l’ossatura della politica. Il volume ripercorre la storia del venire alla luce di questo quarto genere partendo dalla convinzione che esso non abbia mai costituito un punto di partenza nello sviluppo delle forme di potere ma piuttosto un punto di arrivo. Punto di arrivo che ha alle proprie spalle e il consumarsi dell’idea della semplicità della città e conseguentemente della forma della sua gestione politica, e il formarsi di una forma di sapere, quello medico, capace di considerare salute e malattia come forme di equilibrio o di rottura dei rapporti armonici tra le parti di quel “composto” che è l’uomo e poi lo Stato. Radicata sulla convinzione rintracciabile già nel Platone delle Leggi che le costituzioni non possano consegnare tutto il potere ad una parte ma che richiedano una certa mescolanza, la teoria della mistione troverà nella riflessione aristotelica tesa a salvare le costituzioni, uno dei suoi più significativi punti d’approdo. Vista come il segreto della potenza romana da Polibio, come la migliore delle forme da Tommaso che ne vedeva i presupposti realizzati nel governo del popolo d’Israele, la mistione costituì uno dei modi con cui il Conciliarismo riuscì, “temperando” il potere del pontefice, a risolvere il problema della compresenza sul soglio di Pietro di due pontefici e di due collegi cardinalizi. Che la mistione fosse un genere altro rispetto ai suoi componenti ma potesse altresì inclinare verso uno di essi è convinzione espressa da Contarini che vedeva a Venezia una mistione aristocratica e da Giannotti che voleva a Firenze una popolare. Il concetto come arma di battaglia politica, capace di proporre un modello partecipato di potere al nascente Stato assoluto sarà ancora al centro di due tentativi di rappresentazione del potere in Francia con Seyssel e in Inghilterra con Harrington ma non riuscì a sopravvivere alla teoria della sovranità popolare che ne spezzò i presupposti decretandone la fine all’altezza delle due rivoluzioni di fine ‘Settecento. Il volume è corredato da un’appendice di testi, alcuni dei quali, come il Proemio che Claude de Seyssel scrisse alla sua traduzione della Storia romana di Appiano, sono presentati per la prima volta al lettore italiano.
2006
8846475704
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/1555115
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