Le attività lavorative nelle economie contemporanee sono caratterizzate sempre di più dalla ricerca da parte delle imprese di una maggiore corresponsabilizzazione dei lavoratori agli obiettivi aziendali, dalla flessibilizzazione degli orari di lavoro e dalla richiesta di incrementi di produttività assicurati oltre che dal supporto della tecnologia dalla sperimentazione di nuove forme di organizzazione del lavoro. In questo contesto gli aspetti dell’autonomia e del controllo nello svolgimento delle attività lavorative si intersecano in forme diverse e contradditorie, con il risultato di produrre continue tensioni tra le aspirazioni individuali sul piano lavorativo e professionale (nonché nella conservazione di alcuni diritti) e i fabbisogni dell’organizzazione. Non sempre e necessariamente, inoltre, le modifiche dell’organizzazione del lavoro comportano un processo di arricchimento dal punto di vista professionale, né tantomeno un maggior riconoscimento sul piano retributivo. Nella storia più recente gli anni ’70 sono stati per l’organizzazione del lavoro, soprattutto nell’ambito dell’industria, un decennio di sperimentazione e di confronto nell’ottica del superamento di alcuni problemi tipici dell’organizzazione del lavoro di tipo fordista come quelli connessi alla ripetitività e alla dequalificazione della mansioni, alla pesantezza dei carichi di lavoro e al rischio infortuni. In questo contesto sono state prodotte innovazioni organizzative come le isole di montaggio in alternativa al lavoro di linea, mentre il massiccio ingresso della tecnologia e l’emersione di figure professionali nuove ha lasciato immaginare in alcuni contesti anche il superamento della tradizionale divisione del lavoro. Il contemporaneo avvento di profonde ristrutturazioni in questo decennio ha però nel lungo periodo indebolito la capacità contrattuale dell’organizzazioni sindacali, compresa quella sull’organizzazione del lavoro, lasciando maggiormente spazio alle istanze rivolte alla tutela dei livelli occupazionali. A partire dagli anni ’80 l’organizzazione del lavoro è divenuta appannaggio esclusivo del management aziendale, in particolare e inizialmente nell’industria automobilistica, con la diffusione di metodi di produzione lean di origine giapponese (total quality management). Le uniche e poche eccezioni a questo modello sono state rappresentate (e in parte lo sono ancora) dall’esperienza dei technology agreements nei paesi scandinavi che permettono la partecipazione critica dei lavoratori e la progettazione congiunta delle soluzioni tecnologiche e organizzative. Allo stesso tempo i modelli di produzione lean hanno fatto della “valorizzazione delle risorse umane” e dei modelli partecipativi nelle relazioni sindacali due strumenti di assoggettamento dei lavoratori alle nuove logiche organizzative, omettendo tuttavia di considerare le conseguenze determinate dalla flessibilità in termini di disarticolazione della giornata lavorativa, saturazione dei tempi di lavoro, incertezza contrattuale a seguito delle modificazioni nel frattempo occorse nel mercato del lavoro. Con l’avvento di modelli di produzione lean insieme alla deverticalizzazione dei processi produttivi e alla flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, la capacità di intervento sindacale sui temi propri dell’organizzazione del lavoro è stata messa ulteriormente in crisi. In questa direzione la capacità di rappresentanza delle componenti più deboli dell’occupazione (in particolare sul piano contrattuale), in alcuni casi generate delle stesse trasformazioni dell’organizzazione del lavoro, ha finito con il determinarne la loro esclusione o la debole tutela sul piano sindacale (ma ciò non significa che siano assenti problemi nel rapporto con i segmenti tradizionalmente più garantiti della forza lavoro). Il riferimento non è qui esclusivamente ai lavoratori c.d. atipici (ovvero con contratti non standard), ma anche a quei lavoratori che spesso, pur operando all’interno dello stesso luogo di lavoro, sono alle dipendenze di aziende esterne o in affitto per conto di agenzie di lavoro interinale e che pertanto sono interessati da rapporti di lavoro, contratti collettivi e regimi di retribuzione differenti rispetto ai lavoratori dell’azienda utilizzatrice. Tali differenze si osservano poi, molto spesso, anche nell’assegnazione all’interno del processo produttivo delle mansioni e/o ai reparti con carichi di lavoro maggiori, con più elevati rischi di nocività e/o infortuni, e con turni disagiati (lavoro in giorni festivi, turni serali, ecc.).

L’organizzazione del lavoro, le condizioni di lavoro e l’intervento sindacale

D. BUBBICO;
2018-01-01

Abstract

Le attività lavorative nelle economie contemporanee sono caratterizzate sempre di più dalla ricerca da parte delle imprese di una maggiore corresponsabilizzazione dei lavoratori agli obiettivi aziendali, dalla flessibilizzazione degli orari di lavoro e dalla richiesta di incrementi di produttività assicurati oltre che dal supporto della tecnologia dalla sperimentazione di nuove forme di organizzazione del lavoro. In questo contesto gli aspetti dell’autonomia e del controllo nello svolgimento delle attività lavorative si intersecano in forme diverse e contradditorie, con il risultato di produrre continue tensioni tra le aspirazioni individuali sul piano lavorativo e professionale (nonché nella conservazione di alcuni diritti) e i fabbisogni dell’organizzazione. Non sempre e necessariamente, inoltre, le modifiche dell’organizzazione del lavoro comportano un processo di arricchimento dal punto di vista professionale, né tantomeno un maggior riconoscimento sul piano retributivo. Nella storia più recente gli anni ’70 sono stati per l’organizzazione del lavoro, soprattutto nell’ambito dell’industria, un decennio di sperimentazione e di confronto nell’ottica del superamento di alcuni problemi tipici dell’organizzazione del lavoro di tipo fordista come quelli connessi alla ripetitività e alla dequalificazione della mansioni, alla pesantezza dei carichi di lavoro e al rischio infortuni. In questo contesto sono state prodotte innovazioni organizzative come le isole di montaggio in alternativa al lavoro di linea, mentre il massiccio ingresso della tecnologia e l’emersione di figure professionali nuove ha lasciato immaginare in alcuni contesti anche il superamento della tradizionale divisione del lavoro. Il contemporaneo avvento di profonde ristrutturazioni in questo decennio ha però nel lungo periodo indebolito la capacità contrattuale dell’organizzazioni sindacali, compresa quella sull’organizzazione del lavoro, lasciando maggiormente spazio alle istanze rivolte alla tutela dei livelli occupazionali. A partire dagli anni ’80 l’organizzazione del lavoro è divenuta appannaggio esclusivo del management aziendale, in particolare e inizialmente nell’industria automobilistica, con la diffusione di metodi di produzione lean di origine giapponese (total quality management). Le uniche e poche eccezioni a questo modello sono state rappresentate (e in parte lo sono ancora) dall’esperienza dei technology agreements nei paesi scandinavi che permettono la partecipazione critica dei lavoratori e la progettazione congiunta delle soluzioni tecnologiche e organizzative. Allo stesso tempo i modelli di produzione lean hanno fatto della “valorizzazione delle risorse umane” e dei modelli partecipativi nelle relazioni sindacali due strumenti di assoggettamento dei lavoratori alle nuove logiche organizzative, omettendo tuttavia di considerare le conseguenze determinate dalla flessibilità in termini di disarticolazione della giornata lavorativa, saturazione dei tempi di lavoro, incertezza contrattuale a seguito delle modificazioni nel frattempo occorse nel mercato del lavoro. Con l’avvento di modelli di produzione lean insieme alla deverticalizzazione dei processi produttivi e alla flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, la capacità di intervento sindacale sui temi propri dell’organizzazione del lavoro è stata messa ulteriormente in crisi. In questa direzione la capacità di rappresentanza delle componenti più deboli dell’occupazione (in particolare sul piano contrattuale), in alcuni casi generate delle stesse trasformazioni dell’organizzazione del lavoro, ha finito con il determinarne la loro esclusione o la debole tutela sul piano sindacale (ma ciò non significa che siano assenti problemi nel rapporto con i segmenti tradizionalmente più garantiti della forza lavoro). Il riferimento non è qui esclusivamente ai lavoratori c.d. atipici (ovvero con contratti non standard), ma anche a quei lavoratori che spesso, pur operando all’interno dello stesso luogo di lavoro, sono alle dipendenze di aziende esterne o in affitto per conto di agenzie di lavoro interinale e che pertanto sono interessati da rapporti di lavoro, contratti collettivi e regimi di retribuzione differenti rispetto ai lavoratori dell’azienda utilizzatrice. Tali differenze si osservano poi, molto spesso, anche nell’assegnazione all’interno del processo produttivo delle mansioni e/o ai reparti con carichi di lavoro maggiori, con più elevati rischi di nocività e/o infortuni, e con turni disagiati (lavoro in giorni festivi, turni serali, ecc.).
2018
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4716849
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